Deserance, il nuovo spettacolo di Circo Zoé

Avatar Armando Talas

Grugliasco, nei pressi di Torino, 22:30. Lo chapiteau di Circo Zoé è immerso nel buio del parco Le serre, luogo consacrato al festival internazionale Sul filo del circo, e si innalza vicino a due altissimi alberi secolari, dai tronchi immensi. All’improvviso il sommesso mormorio del pubblico in attesa viene travolto da un grido poderoso e inaspettato, proveniente da dentro lo chapiteau. Sono i ragazzi di Circo Zoé che si danno la carica, uniti in un rito di gruppo antico e immortale.

Poco dopo si spalanca l’entrata, che dal parco tenebroso conduce nel mondo del circo.

Molti credono che il profumo del circo sia unico: segatura, zucchero filato… le solite cose. Non è vero. Che colpisce entrando in circo Zoé è un odore incensato, molto particolare. Non è quello delle chiese, ma qualcosa di più complesso, esotico e straniero.

Il nuovo spettacolo si chiama Deserance, un misto di Desiderio, Erranza e Resistenza.

La prima impressione è quella di ritrovare dei vecchi amici, quei volti noti che erano protagonisti delle avventure di Naufragata.

All’inizio ho cercato un filo logico, un continuum registico, ma poi ho capito.

Deserance non si vuol far afferrare, scappa da qualsiasi schema, e ha l’obiettivo di stupire continuamente.

Per questo non è possibile scrivere una recensione dettagliata senza incorrere nel temibile effetto spoiler.

Dirò solo che ci sono tutti gli ingredienti che servono: palo cinese, cerchio aereo, roue cyr, trapezio… ma tutto è permeato di inventiva e imprevedibilità.

Le atmosfere continuano a cambiare, si passa dal dramma alla sdrammatizzazione, dal lirico al goliardico, ma in modo bello e sfrontato, libero. Inutile cercare appigli: lo spettacolo ti porta con sé.

Quello di Circo Zoé è un grande ritorno, una rinascita, che consiglio ai miei lettori di andare a vedere con spirito libero.

È come se lo spettacolo racchiudesse molte anime, i pensieri creativi di persone diverse, ma unite nello stesso urlo. E non è sicuramente un grido di dolore, ma di trionfo e liberazione.