E’ davvero possibile addestrare con la forza, le torture o le minacce? Il coinvolgimento di animali in uno spettacolo è per loro denigratorio e calpesta i loro diritti? Renato Massa, chimico e naturalista, professore emerito dell’Università degli Studi di Milano, esprime con chiarezza le sue idee in merito nel testo che segue. Lo ringraziamo per averci permesso di pubblicarlo.
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La cosiddetta filosofia dei diritti degli animali, enunciata ormai da circa mezzo secolo da filosofi che conoscevano gli animali solo per avere mantenuto a casa un gatto, ha prodotto enormi guasti che oggi non si sa più come sanare perché vanno molto al di là di ciò che gli stessi naturalisti potevano immaginare.
Premetto che ogni naturalista ama gli animali, vuole vederli liberi in natura e, qualora siano presenti negli ambienti umani in forma di cani, gatti, cavalli, asini, mucche, pecore, capre, galline, colombi, canarini o altro, desidera che stiano bene, non soffrano il freddo né la fame né altre sensazioni negative, in poche parole vuole il loro benessere, cioè li considera degni di tutela. Tuttavia, nessuna persona che conosca anche superficialmente la natura, penserebbe mai che gli animali possano essere soggetti di diritto o anche titolari di una dignità del tipo di quella umana. Appare evidente, infatti, che io non posso portare in tribunale un gatto perché mi ha danneggiato e parimenti un gatto non può portare in tribunale un cane, un cavallo né un uomo che lo abbia danneggiato. Parimenti, parlare di dignità di un gatto è una enunciazione priva di senso se è vero che per dignità si intende, secondo il dizionario Gabrielli, la “condizione e qualità di ciò che è degno di rispetto e di onore”. Insomma, gli animali sono degni del massimo rispetto in quanto esseri viventi e anche in quanto esseri senzienti ma non ci si può aspettare da loro che conoscano i concetti umani di rispetto e di onore e ancor meno che possano essere soggetti di diritto.
Due sono i principali aspetti negativi della diffusione di informazioni false circa la natura degli animali e del loro rapporto con gli esseri umani: (a) il primo è la creazione mentale di esseri fantastici che non sono e non reagiscono come noi pensiamo, (b) il secondo è una immotivata de-responsabilizzazione degli esseri umani che in realtà non devono agire come semplici soggetti passivi che riconoscano un diritto di pura fantasia ma hanno invece il dovere attivo di tutela sia nei confronti del benessere degli animali domestici, sia nei confronti della sopravvivenza delle popolazioni di quelli che vivono in natura.
L’ultima proposizione espressa significa essere gravati dal dovere di conservare la natura per quanto ci è possibile, un dovere reale che è scomparso dall’agenda dei seguaci dei filosofi animalisti, con grave pregiudizio delle popolazioni di animali selvatici che, oltre a essere falcidiate dalla distruzione dei loro ambienti naturali, si trovano ad essere dileggiate da gente che pretende di attribuire loro diritti e dignità senza minimamente tutelarli.
In questo quadro tragicomico si colloca la dichiarazione della psicologa-psicoterapeuta Annamaria Manzoni contro “i circhi e altri spettacoli con animali” considerati ipso facto come diseducativi. Questa dichiarazione del 2015 ha ricevuto una notevole attenzione dato che alla fine è stata firmata da centinaia di psicologi e ha stimolato analoghe dichiarazioni da parte di una associazione di psicologi polacchi nonché della federazione dei veterinari europei. Per rispondere a queste dichiarazioni, vorrei riferire un episodio al quale mi capitò di assistere diversi anni or sono.
Avevo visitato un piccolo zoo francese, quello di Saint Jean Cap Ferrat, dove esisteva, tra l’altro, una piccola comunità di scimpanzé che, a una certa ora, si esibiva in un divertente spettacolo: le scimmie, vestite con abiti umani, si sedevano compostamente intorno a una tavola imbandita e consumavano una merenda usando piatti, stoviglie e bicchieri. Lo spettacolo era molto divertente e anche gradevole perché anche le scimmie parevano divertirsi moltissimo della loro esibizione, immagino per il piacere di fare bene qualcosa di nuovo che avevano imparato e anche per la soddisfazione di potere emulare i loro cugini umani sul loro stesso terreno. Purtroppo, però, quando ritornai allo zoo di Cap Ferrat alcuni anni più tardi, mi fu detto che lo spettacolo era stato abolito in quanto, secondo alcuni critici, “degradante” e “lesivo della dignità e dei diritti degli animali”. Ne rimasi molto contrariato e, andando a visitare i poveri scimpanzé nel loro recinto, immaginai che la loro delusione dovesse essere stata molto maggiore della mia, avendo io molto altro da fare nella vita oltre a prendere una tazza di tè coi biscotti con uno scimpanzé. Le povere scimmie erano state offese due volte, la prima per essere state private del loro gioco quotidiano, la seconda per essere state considerate come bruti, capaci di sbucciare banane ed emettere versacci ma non certamente di sedere compostamente a un tavolo a meno che, per riuscirvi, non fossero stati terrorizzati e torturati con pungoli e altri strumenti di tortura. Se in precedenza non avessi assistito allo spettacolo in prima persona, constatando l’evidente soddisfazione delle scimmie, avrei potuto mantenere il beneficio del dubbio, ma a quel punto no, non potevo assolutamente, in un colpo solo compresi che la guerra dei sedicenti animalisti contro il circo era puramente ideologica e partiva dall’errato presupposto dell’esistenza di una incolmabile differenza tra uomini e animali. I contestatori non riescono a rendersi conto che gli animali abbiano non soltanto capacità di gioco, ma capacità organizzative che nei giochi possono essere utilmente immesse. Io, invece, ne sono sicuro non soltanto per la mia ferma convinzione, dettata da una lunga esperienza diretta, che gli animali pensino molto di più di quanto noi non possiamo credere ma anche per un altro interessante episodio cui mi capitò di assistere nell’anno 2000 all’Hornbill Camp di Kalangala, isole Ssese del lago Vittoria, Uganda. Lo riferisco riportando qui di seguito ciò che scrissi in quella occasione:
“Nel campo vivono due cani e un giovane cercopiteco che è stato allevato fin da piccolo e non è più riuscito e reinserirsi in un gruppo di scimmie selvatiche. I due cani sono rispettivamente un maschio meticcio color crema di probabile origine locale e un maschio di pastore tedesco giunto qui, con ogni evidenza, al seguito di Dick, il titolare tedesco del campo. Sono due animali piuttosto sereni e per nulla aggressivi che si fanno notare soprattutto per il loro particolare rapporto con Money, il giovane cercopiteco grigioverde maschio portato qui da un contadino che l’ha sottratto a sua madre quando era ancora un infante. L’uomo ha pregato Dick di prendersene cura dato che lui non poteva più assolutamente tenerlo in casa. Dick ha accettato accogliendo la scimmietta nel campo con grande affetto e infinita pazienza. Innanzi tutto, l’ha liberata dal guinzaglio che la opprimeva, poi l’ha riempita dell’affetto che le era evidentemente mancato dopo la perdita della madre: la teneva spesso in braccio, l’accarezzava, la faceva giocare coi cani e col gatto che infatti si sono enormemente familiarizzati con lei. Ora Money abbraccia il gatto, se ne sta col cane più piccolo addirittura tra le sue zampe anteriori e gioca anche col pastore tedesco a guardie e ladri o, per meglio dire, a preda e predatore. Con i suoi simili non ha un gran che di rapporto e una volta mi è capitato di vedere nel campo quattro o cinque cercopitechi a prima vista coetanei che però lo tenevano alla larga con un atteggiamento sdegnoso. Quando Money non corre libero per il campo inseguito dal pastore tedesco, allora tende a diventare un autentico pericolo pubblico per chi cena qui. Nessuno si può permettere di lasciare una pietanza incustodita neppure per pochi secondi e anche un semplice piatto vuoto con residui di sugo diviene un oggetto interessante per lui perché può essere comunque afferrato e leccato. Il pastore tedesco fa di tutto per contrastare questi eccessi: non soltanto cerca di impedire a Money di salire sui tavoli ma in pratica lo insegue ovunque cercando di catturarlo e di “ucciderlo” (solo in modo rituale, si intende).
Quando il cane riesce a catturare la scimmia, allora ringhia e fa finta di sbranarla mentre la poveretta grida con tutto il fiato come se la uccidessero veramente. L’inseguimento si svolge freneticamente per decine di minuti e viene interrotto quando Money ripara su un albero, e questo è evidente perché i cani non possono arrampicarsi, ma il cane si ferma anche quando Money ripara su un tavolo o persino su una piccola catasta di pietre, e questo è molto meno evidente perché in tal caso entra in gioco soltanto una regola convenzionale. È come se Money dicesse al cane lupo “qui non vale” e il cane concordasse di osservare strettamente questa regola. Si aggira velocemente intorno alla catasta correndo in circolo per sottolineare il suo “assedio” ma non si spinge oltre in nessun caso”.
In definitiva, sono fermamente convinto che non sia possibile addestrare animali con la forza, le torture o le minacce come sostengono alcuni animalisti che in realtà non hanno alcuna esperienza nel merito. Gli animali capiscono e riescono a fare molto di più di ciò che ritengono possibile persino i loro estimatori, spesso si organizzano spontaneamente e quindi non hanno difficoltà a comprendere ciò che viene loro chiesto dall’addestratore. Credo inoltre che i critici del circo equestre non tengano in alcun conto il fatto che cani e cavalli sono animali domestici che imparano a svolgere i loro numeri senza particolari difficoltà, per compiacere un compagno umano con cui hanno un forte legame affettivo. Potrei anche concordare sul fatto che, per motivi di sicurezza, al giorno d’oggi non sia più molto accettabile fare esibire in uno spazio ristretto animali della mole di un elefante o carnivori potenzialmente pericolosi come leoni o tigri, e anche sul fatto che gli animali non gradiscono continui spostamenti e vi si adattano con difficoltà. Tuttavia, nessuno riuscirà mai a convincermi che una otaria non si diverte e che non è anche orgogliosa di riuscire a mantenere una palla in equilibrio sul naso. La gente dovrebbe imparare a documentarsi prima di affrontare un determinato argomento e dovrebbe anche pensare che è giusto trattare gli animali con rispetto e comprensione ma non pensare di viziarli come figli unici di genitori stupidi. In natura, gli animali lavorano duro sottoponendosi a lunghi spostamenti in cerca di cibo, scontrandosi con rivali e vigilando continuamente sui possibili attacchi dei predatori. Quando si trovano a vivere in stretto contatto con noi non si sottraggono al lavoro perché ad esso sono perfettamente adattati.