L’Oriente ha sempre rappresentato una smisurata fonte d’immaginazione per gli europei e così anche il circo ha subìto ed ha veicolato l’esotismo, declinandolo in forme selvagge o mistiche, a volte voluttuose, altre magiche. Esponenti di questa propensione sono stati a lungo i fachiri che potremmo altresì definire una vera e propria invenzione del circo. Il vero faqr infatti è una figura religiosa del mondo arabo decisamente poco adatta all’intrattenimento, è un’asceta che vive in povertà, perennemente in preghiera. Il circo gli ha attribuito connotati africani e indiani, nonché capacità soprannaturali, l’ha persino caricato di una certa dose di erotismo. Perché questo sia avvenuto è difficile dirlo. Da molto tempo, da molto prima che il fachiro vestisse i panni odierni dei punk e si concentrasse sulla repellenza di certi numeri, il pubblico occidentale si è abituato a vederlo affrontare prove di sofferenza, ammaliare animali, camminare sul vetro e sul fuoco o bucarsi con spilloni senza ferirsi o provare dolore, tutti elementi che rimandano a ciò che l’induismo chiama siddhi ovvero facoltà ottenute attraverso pratiche ascetiche, rituali e meditative, poteri del saggio realizzato, colui che ha raggiunto l’ultimo stadio del progresso spirituale e domina se stesso e quindi la realtà che lo circonda, gli elementi materiali e le forze naturali. Se, però, uno yogi non si abbandonerebbe mai alla spettacolarizzazione dei suoi poteri, il fachiro vive di questo. Lo potremmo definire un illusionista in abiti levantini.
Tra gli esponenti di spicco del fachirismo del Novecento troviamo Koringa.
Il suo vero nome era Renée Bernard. Era nata il 16 gennaio del 1908 a Bordeaux da Hippolyte e Marie Hortense Coureau. Giovanissima, girò la Francia come danzatrice e assistente del famoso fachiro Blacaman e così iniziò a studiarne i segreti, ad assorbire le sue tecniche, a capire i suoi trucchi.
Blacaman diceva di possedere incredibili poteri mentali, si stendeva con tranquillità su un letto di chiodi, era capace di esercitare un comando apparentemente senza sforzo sulle leggi della natura, si esibiva in spettacolari esperimenti di fachirismo, con martelli si faceva spaccare blocchi di granito sul corpo ed ammaliava leoni e coccodrilli, abbracciava i grandi felini, lottava con loro a mani nude, parlava con gli alligatori, in uno spettacolo che strizzava l’occhio all’immaginario mondo di Tarzan. Coperto di una tintura di noci, si presentava al pubblico in perizoma, con la barba e con una pettinatura arruffata come una criniera irsuta, quanto bastava per convincere tutti che fosse davvero un indiano, uno yogi proveniente dalla mistica Calcutta. In realtà si chiamava Pietro Aversa, era italianissimo, un ragazzo nato il 23 febbraio 1902 a Castrovillari che da adolescente si unì ad un circo che passava nella sua città. Probabilmente il suo numero più scioccante era quello del funerale in cui veniva sepolto vivo. Nei paesi sudamericani ebbe grande clamore. Fu presentato nelle plazas de toros prima delle corride. Blacaman veniva seppellito vivo, rimanendo sottoterra sino alla caduta dell’ultimo toro quando finalmente veniva dissotterrato sano e salvo. Questa prova era così eclatante che se ne interessarono persino dei medici ed a quanto pare il segreto non fu mai scoperto. Blacaman girò il mondo coi più importanti circhi del primo Novecento (tra i suoi allievi ebbe anche Ferenc Czeisler, il celebre Tihany), attirando l’attenzione del regista George Marshall che lo volle riprendere in You Can’t Cheat an Honest Man, film del 1939, e ispirando lo scrittore Gabriel García Márquez, autore di Blacaman el bueno, vendedor de Milagros.
In quegli anni di massima fama, Blacaman arrivò ad avere molti imitatori, persino un figlio falso, c’erano pure artisti che si spacciavano per lui ed uno di essi perse la vita in un numero funebre nel 1929. Renée provò ad imitarlo e lui non le fu ostile, anzi la aiutò a varcare le verità del fachirismo, a penetrare nelle sue logiche. La ragazza, così, iniziò a studiare il comportamento dei rettili, a capire come potersi avvicinare a loro e prenderli tra le mani senza correre rischi, poi, assistita da quello che era diventato il suo mentore, si dedicò a migliorare la presentazione dei numeri, a dosare enfasi ed artifici, a curare la scenografia. Tutto doveva essere ben costruito, la teatralità era la chiave per irretire il pubblico.
Nacque così Surja Koringa, una donna proveniente da Bikaner, nel lontano Rajasthan, dotata di poteri occulti e maestra di ascetismo. Diceva d’essere un’orfana cresciuta tra guru che le avevano trasmesso millenari segreti grazie ai quali poteva ipnotizzare le bestie, attraversare il fuoco senza bruciarsi, morire e tornare alla vita. Con la sua folta chioma nera, vestita d’un succinto costume e truccata di verde, saliva a piedi nudi una scala fatta di sciabole sguainate e taglienti. I fratelli Mills ne furono impressionati e la ingaggiarono come protagonista del loro circo.
A ben guardare, l’immagine scenica di Koringa era piuttosto confusa, condensava elementi di una etnografia disordinata e immaginaria, evocava civiltà perdute più che l’India. I capelli ulotrichi richiamavano quelli degli afro-ameriani e gli abiti tigrati i personaggi di Edgar Rice Burroughs, spesso le scenografie sembravano ispirarsi a mondi primordiali o alla terra del Nilo più che a quella del Gange, ma il pubblico non era così preparato culturalmente né disposto a riflettere su certe sottigliezze. Nel giro di poco tempo Koringa divenne l’attrazione principale dello spettacolo. Il suo numero riprendeva i grandi classici del fachirismo, camminava a piedi nudi su vetri rotti, veniva sepolta in una sabbiera infestata da serpenti da cui usciva indenne, incantava pitoni e coccodrilli, si trafiggeva con aghi. Ogni sera il Bertram Mills Circus era strapieno, la gente accorreva per vedere lei, avvinta da quel miscuglio, estremamente accattivante, di seduzione e pericolosità. Divenne una vera e propria star, le copertine dei giornali si riempirono delle sue provocanti immagini e girò il mondo. Fu in Germania, Danimarca, Sud Africa, anche in Italia con Darix Togni.
Si ritirò nel novembre del 1968, dopo alcuni spettacoli al Cirque d’Hiver. Dimenticata da tutti, spirò il 1 gennaio 1976, il suo maestro Blacaman si era spento nel 1949, dopo aver attraversato fortune alterne col Blacaman Circus, uno spettacolo itinerante che contava settanta leoni ed oltre cinquanta coccodrilli.
I due avevano contribuito in maniera determinante a plasmare il concetto di fachiro, ne avevano perfezionato immagine e contenuti. Blacaman e Koringa avevano portato a compimento la spettacolarizzazione dell’ascesi orientale e tuttavia il pubblico già ricusava il fascino del fachirismo. Affetto dalla noia patogena ed esistenziale insita nel consumismo a cui forse faqr e yogi avrebbero saputo dare risposte migliori, già si apprestava a distruggere il loro lavoro, imponendo ai posteri di reinventarlo.