Riceviamo e pubblichiamo un’intervista uscita sul giornale “Ciociara Oggi” a firma di Giulia Abbruzzese.
Un cognome che porta con orgoglio ma che definisce anche un grande peso. Una famiglia di «industriose formiche» che lavorano con passione e amore. Un mondo che si sposta di continuo ma che, incredibilmente, si sente sempre a casa. Ascoltare Vinicio Togni, il “signore dei cavalli”, il vincitore del Clown d’argento a Montecarlo, è un po’ come guardare uno di quei film che hai già visto, di cui conosci la trama ma che, ogni volta, ti lascia un’emozione nuova.
E per questo sai che lo vedrai di nuovo. Lui racconta e si racconta, davanti a un bicchiere di thè rosa, con una luce negli occhi che tradisce la sua passione per quel mondo fatto di tendoni, camper, segatura e abiti di scena. Ma soprattutto dei suoi splendidi animali, leoni o cavalli che siano, portatori sani di adrenalina allo stato puro da volerne sempre di più.
Vinicio Togni, 52 anni, una moglie trapezista e tre figli che sognano di imitarlo (anche se dice che il tredicenne Ugo Vinicio lo ha «tradito per fare il clown») ha fatto la storia del circo. L’ha ereditato da suo padre Riccardo e sua madre Lidia, lo ha trasmesso ai suoi bambini e, ogni volta che entra nell’arena, lo regala al pubblico con amore, dedizione, cura e professionalità in quantità industriali.
Cosa è per lei il circo?
«La mia casa. Quella da cui non riesco a staccarmi neanche quando i miei bambini mi chiedono di fare una vacanza. È la mia passione smodata e naturale per gli animali che adoravo sin da piccolo. Ricordo che mia mamma mi diceva di andare a giocare con i miei coetanei, mentre io preferivo stare con cuccioli e piccoli animaletti. È rimasto tutto esattamente così. Ma il circo è anche una grande famiglia in cui tutti hanno un ruolo, che montano e smontano ogni volta uno spettacolo. Che viaggiano e sono cittadini del mondo».
Cosa le piace pensare di trasmettere al pubblico che assiste allo spettacolo?
«In un momento come quello che stiamo attraversando, con la crisi e le difficoltà economiche, la gente non ha tanta voglia di ridere. Eppure sono le persone che regalano tanto a me: quando finisce lo spettacolo non escono mai prima di averci incontrato ed essersi complimentati per lo spettacolo. Questo è il premio più bello».
E invece quello che ha ricevuto a Montecarlo, il Clown d’Argento, a chi lo ha dedicato?
«In primis a mia madre. E poi a tutti quelli che lavorano con me. Il nostro è un lavoro di squadra, in cui ciascuno fa la propria parte».
Quale progetto spera di realizzare a breve?
«Introdurre nello spettacolo anche lo sport. Il circo è già una palestra, prima di tutto fisica e poi di vita. Credo sia giusto introdurre anche dei numeri che valorizzino particolari discipline».
Una vita in viaggio: c’è un luogo dove si sarebbe voluto fermare per sempre?
«Sono nato a Trieste, le mie origini sono legate a Pesaro e Brescia, abbiamo sedi a Verona e Milano eppure io mi sento a casa solo quando sono con il mio circo. Mi crede?». Impossibile non farlo. I suoi occhi dicono molto di più di quanto racconta. E non basta certo un thè per ascoltare tutto quello che di magico e inedito potrebbero svelare sul circo. E sulla vita.