REGGIO EMILIA – Il circo Darix Togni replica e commenta così la notizia di un presidio di protesta annunciato per la giornata di domenica dall’associazione animalista Lav nei pressi del tendone allestito in zona Fiere.
Che differenza c’è tra un maiale ed un cane, se non quella che il primo nutre il nostro stomaco, il nostro corpo ed il secondo le nostre emozioni, il nostro spirito? Certo, questo elenco delle funzionalità di ciascuno dei due animali è limitativo, ma lo è volutamente per sottolineare che entrambi, in un modo o nell’altro, soddisfano i nostri bisogni.
Alla luce di ciò, che differenza ontologica c’è tra un animale del circo ed un “pet” (cane, gatto, iguana, pesce rosso, canarino) tenuto in un appartamento? Nessuna! Entrambi nutrono il nostro spirito, soddisfano nostri bisogni, non materiali, ma per questo non meno importanti, essendo quelli che ci rendono Umani.
Non c’è alcuna differenza se non nella mente e nei concetti dell’uomo stesso che, è sempre bene ricordarlo, possono essere sbagliati.
Perché i circhi che detengono animali suscitano dibattiti e polemiche mentre chi detiene qualsiasi altro animale ne risulta addirittura un amante? Un cavallo da equitazione, addestrato, cavalcato e che lavora con gli ostacoli non è forse come un cavallo che lavora al circo? Un cane preparato all’agility o alla mostra di bellezza non è “sfruttato” dall’uomo come qualsiasi altro animale? …E non ci si dica che la differenza sta nel fatto che il circo esibisce i suoi animali a fini di lucro, perché paghiamo in contanti anche una seduta di pet therapy, tanto osannata dagli animalisti!… che cos’è uno spettacolo con animali se non una forma (per di più artistica) di pet therapy?
L’uomo che vede differenze tra l’impiego di animali ha sviluppato un concetto talmente distorto e lontano dalla realtà che arriva addirittura a considerare bene una cosa e male quell’altra e non si accorge che sono facce della stessa medaglia.
Non vogliamo neanche entrare nel merito dell’ignoranza che pervade la questione, perché uno dei casi più emblematici di questo ignorare è il credere che gli animali esotici del circo o degli zoo siano prelevati in natura, non sapendo invece che nascono all’interno di queste strutture, che assumono quindi un valore anche ai fini della conservazione delle specie; piuttosto vogliamo analizzare il motivo piscologico che spinge l’uomo a credere che chi detiene un cagnolino in un appartamento, che magari ha provveduto a castrare e quindi ad annullarlo biologicamente quale essere vivente, sia “migliore” dell’uomo che detiene una tigre in un circo.
Perché abbiamo scritto tigre e non la puzzola, l’armadillo, il pappagallo od il serpente? A nostro avviso uno dei motivi fondanti di tanto astio nei confronti dei circensi (gli animalisti nelle loro propagande usano sempre questi grandi felini) è l’invidia che nutre l’essere umano, sempre più proteso all’apparire nei confronti degli altri, che vede in certi animali quali la tigre, il leopardo od il leone, quel senso di potenza e libertà ammaestrate da un loro simile. Tenere un gatto non è come tenere una maestosa tigre e chi vive a contatto con quest’ultima dimostra di conoscere veramente gli animali al punto di poterli “guidare”. L’interesse dei bambini (i circhi ne sono pieni) nei confronti di questi animali esotici diventa quindi un simbolo da colpire per dimostrare, prima di tutto a se stessi, che chi doma la potenza di una tigre viene a sua volta domato da un altro uomo.
Va detto anche che il rapporto con gli animali domestici è cambiato. Assistiamo sempre più a scene deprimenti di isterismi collettivi nei confronti di cani e gatti cui viene riversato l’affetto che dovrebbe invece appartenere all’uomo. Un conto è voler bene al proprio animale da compagnia, un conto è trasformarlo nel surrogato di un figlio, con il rischio poi di snaturarlo, molto più di quanto non avvenga in un circo.
Siamo arrivati al punto che una sculacciata sul sedere ad un bambino passa inosservata, quella ad un cane comporta denunce e condanne unanimi. Perché? C’è questo enorme bisogno di sentirsi diversi dagli altri, unici e non scontati. Se viene a mancare il soggetto umano cui riversare l’affetto (cosa peraltro scontata se ci fosse), lo si cerca nell’animale domestico e lo si giustifica con il fatto che gli altri non sanno cosa significhi possedere un animale. E’ una gara a chi tratta meglio il proprio cane, non sapendo appunto che così facendo lo condannano. Lo ammaestrano e lo “addolciscono” con maniere cruenti, ovverosia lo castrano. Lo costringono a cappottini invernali e spazi angusti da appartamento, in breve: lo snaturano, strappandogli tutto ciò che ne costituisce l’unicità animale, ma pensano di amarlo alla follia.
Il giustificare inconsciamente questa assurdità comporta odio nei confronti di chi invece gli animali li tratta bene, li conosce ed è con loro dalla notte dei tempi, non li ha scoperti l’altro giorno. Anzi, se non ci fosse stato chi addomesticava ed usava gli animali ora, questi signori i cui affetti si sono persi nel vuoto cosmico dell’indifferenza, non potrebbero gioire del loro amato cagnolino o gattino.
L’invidia, l’apparire e quel senso di unicità trasgressiva che deriva dall’amare qualcuno che non sia un essere umano, ha quindi prodotto un uomo cui convenzionalmente è stato attribuito il termine di animalista che deve dimostrare a se stesso che quel che fa non è assurdo, arrivando pure a non capire che l’animale che detiene è, in libertà e dignità, di molto inferiore a quella di un animale del circo e dello zoo.
Il testo è tratto da Filosofiarurale.it