Occhio ai leoni. Quando hanno fame, mangiano. Domare gli eventi a volte è un’impresa che richiede temperanza e pazienza ma, soprattutto, padronanza del buon senso e di senso, soprattutto, dei tempi che cambiano, della storia che, volenti o nolenti, cambia a prescindere dalle apparenze statiche.
Finire denunciati dalla Digos per ricettazione dopo aver manifestato contro un circo e andare a processo per un reataccio che si è abituati a circoscrivere ai delinquenti poco comuni, ai mafiosi, a chi vive di espedienti nel sottobosco del riciclaggio, non è da tutti. Ma ci si può riuscire.
Istruzioni per l’uso.
Fase 1: si va a Bari e si manifesta contro il circo di Mosca. Fase 2: gli addetti del circo notano che mancano alcuni loro manifesti in città. Fase 3: si informa la Digos. Fase 4: la Digos nel controllare i cartelloni dei manifestanti, scopre che all’interno riportano la pubblicità del circo che ha chiamato la “polizia politica” a controllare.
Fase 5: la Digos ha un gran da fare a redigere il verbale e a riportare nero su bianco che “la maggior parte dei gonfaloni non erano più presenti nei luoghi ove erano stati collocati, molto probabilmente asportati da ignoti”,
Fase 6: “…con molta probabilità i cartelloni che stavano utilizzando gli animalisti – scrive il denunciante – per esporre i loro slogan, erano alcuni dei gonfaloni asportati, i quali si presentavano rovesciati al contrario e attaccati col nastro adesivo trasparente”… Dopo tanta dovizia di coincidenze indiziarie, arriva la Fase 7: la Digos accertava che “all’interno vi erano le diciture” del circo, per cui il rappresentante del circo non ha dubbi: “ne reclamavo la nostra proprietà”.
La Digos che fa? Non può che procedere. Sequestra “i predetti gonfaloni”, identifica i predetti presunti criminali ricettatori di cartelloni circensi, e inizia l’iter giudiziario.
“Tre dei cartelloni in uso ai manifestanti – ammette la divisione investigazioni generali operazioni speciali della questura di Bari, impegnata nell’articolata indagine – erano cartelloni riportanti la pubblicità del circo, ripiegati su se stessi in maniera da utilizzare la parte bianca in cartone per vergare le scritte di protesta con bombolette spray di vari colori”. Beh, almeno la favorenda ricettazione non annoiava la vista.
Parte la denuncia, l’ipotesi di reato è ricettazione e/o favoreggiamento alla ricettazione. Dell’insopportabile crimine inferto con lo spray di diversi colori si informa la Procura e la Divisione anticrimine della Questura, affinchè la proprietà dei cartelloni abbia giustizia del riciclo dei cartoni animati dalla pubblicità delle belve feroci, finalmente domate e piegate al volere biblico dell’uomo sull’universo mondo animale. Così sia, anche in nome della legge.
Infatti… l’ambiente ringrazia il riciclaggio: Pochi giorni dopo, la Divisione Investigazioni generali operazioni speciali della Questura annota l’avvenuto secondo riciclaggio: “Viene distrutto il materiale in oggetto indicato, mediante taglio con forbici e conferimento presso cassonetti riciclo carta e cartone”.
E i manifestanti incensurati? Rinviati al giudizio perché “al fine di procurare a sé e ad altri un ingiusto profitto, riceveva n.3 cartelloni pubblicitari del circo, di provenienza delittuosa”.
Del reato e dell’ingiusto profitto ne discuterà l’autorità giudiziaria. La condanna? Pena detentiva convertita in pena pecuniaria: modicamente 22.500 euro di biglietto. La donna cannone avrebbe potuto sperare di più?
Ma una cosa ci consola. Che la stessa celere condanna e la medesima perizia investigativa in Italia sono la regola anche quando le forze dell’ordine corrono a vedere lo stato di salute degli animali dei circhi, quando la veterinaria pubblica ispeziona e verifica che il benessere animale sia sempre compreso nel prezzo del biglietto. Vero? Ovvio che nel circo offeso dai ricettatori, lì stanno tutti, trattati come pascià. Ma era giusto per ricordare al signor giudice che tutto va sempre bene, tra biada, fieno e bistecche.