Clown Carillon, la clownerie del cuore

Avatar Armando Talas

Chi c’è dietro la maschera del clown?

In questo caso un signore gentile di nome Paolo Casanova, disponibile a conversare e a raccontare di sé (per chi non l’avesse vista, consiglio di recuperare la diretta di Circus News a lui dedicata).

Qui cercherò di andare oltre Paolo, di addentrarmi nella descrizione del suo alter ego artistico, Clown Carillon, una creatura dalle peculiarità uniche nel panorama mondiale della clownerie.

Quando entra in scena è come uscisse da una macchina del tempo.

Lo spettatore lo vede apparire tra le nebbie, a bordo di un trabiccolo a pedali che pare una misteriosa macchina antica, proveniente da un altro tempo o forse da un altro mondo. Non c’è nulla di minaccioso in questa visione, che pare al contempo strana e famigliare. Potrebbe essere un bislacco inventore dell’Ottocento, il cui genio creativo ha costruito astrusi macchinari. Non è un alieno, tuttavia è inconsueto, come provenisse da un’altra dimensione. Queste impressioni nel loro insieme si traducono in una sensazione “onirica”: Clown Carillon ricorda un sogno bello e malinconico.

Ha un volto bianco, un naso rosso, e un sorriso tirato all’insù, accompagnato da due piccoli tratti neri sotto gli occhi, come fossero lacrime. È come dicesse: sono triste ma mi sforzo di sorridere, di farvi divertire, sono l’immagine del coraggio che non si perde mai d’animo di fronte alle difficoltà. Lo spettatore non ha tempo di comprenderlo con la ragione, lo sente. Poi c’è l’arte del mimo ad animare quel volto, a renderlo mutevole e davvero espressivo. Sopra, lo straordinario cappello a cilindro, la cui sommità può aprirsi e far uscire bolle di sapone nell’aria, come fragili pensieri. Una volta tolto il cilindro, appare un ciuffo rosso di capelli, che può mettersi a ruotare vorticosamente.

E poi il movimento, l’azione, il ballo con un busto di donna che pare volare via. La donna inanimata, quasi fosse un automa, si solleva in aria, e Clown Carillon la tira a sé per abbracciarla, nel disperato tentativo di trattenerla. C’è il lieto fine: quando il busto volante viene finalmente raggiunto e riposizionato sul trabiccolo a pedali, improvvisamente scompare e si trasforma. Così appare Nox, la cantante, che accompagna con la sua voce calda il resto del numero. Sembra la metafora emozionante di una creazione: da un busto di donna inanimato e fuggevole appare una donna vera, a cui Clown Carillon resta indissolubilmente legato. Crea bolle sempre più grandi, che non partono più dal cervello, ma dal cuore, come gonfie d’amore per quella creatura che è entrata inaspettatamente in scena.

Tutto ciò è reso possibile dall’applicazione alla clownerie di invenzioni artigianali uniche nel loro genere e di trovate proprie dell’illusionismo, così perfettamente integrate nel numero da essere irriconoscibili. Lo spettatore non pensa assolutamente al trucco del prestigiatore; si trova del tutto ammaliato, partecipe della vicenda. È il trucco magico utilizzato non come fine, ma come mezzo per creare l’effetto del meraviglioso.

Clown Carillon tocca, nel breve raggio del suo numero, il cuore del pubblico. Non punta a far ridere, ma ad emozionare. Se esiste – ed esiste – una clownerie del cuore, Clown Carillon è uno dei massimi esponenti.