Giovedì 12 dicembre, ore 16,40. È un orario d’inizio insolito per i nostri reportage ma siamo a cavallo di Santa Lucia – la notte più lunga che ci sia, come recita il proverbio – e il sole sta già per tramontare. Il cielo è terso e le Alpi svettano limpide sullo sfondo della Pellerina. Davanti a noi ci sono due giganteschi tendoni bianchi percorsi da onde blu mare, intorno c’è una recinzione che chiude una carovana di TIR, camper e roulotte. Dentro, infine, c’è una di quelle cose che, anche se mancano pochi giorni all’anno 2014, non hanno perso una briciola della loro secolare magia: il circo.
17. Heidi è la produttrice del Magnifico Acquatico Zoppis: sua madre era trapezista, lei era trapezista, sua figlia è trapezista. Ci racconta come è nato tutto: “L’idea ha preso corpo parecchi anni fa: volevamo fare qualcosa di un po’ diverso dal circo tradizionale, uno spettacolo acquatico, senza animali, ma con dentro tutte le discipline circensi tradizionali. Siamo partiti quattro anni fa, dopo aver girato le scuole di circo di mezzo mondo alla ricerca dei giovani che sembravano più adatti a questo progetto. Alla fine possiamo dire di aver vinto la nostra scommessa: abbiamo girato mezza Europa, ma siamo stati anche a Dubai e negli USA, e a oggi questo spettacolo è stato visto da più di due milioni di persone.”
17.38. Mentre la tenda che fa da foyer è già affollata di spettatori, nei camerini le acrobate finiscono di truccarsi: capelli raccolti, enormi ciglia finte, rossetti vistosi. Tutto il retropalco è in fermento: hawaiane, pagliacci, acrobati, tritoni. C’è chi finisce di infilarsi un costume, chi fa esercizi di stretching, chi prova il suo numero. Volano clave e volano battute e prese in giro in tante lingue diverse: “È normale – spiega Oliver, uno dei clown. – Il circense è per definizione un cittadino del mondo, perciò qui tutti parlano sei o sette lingue. Io sono un po’ ignorante e ne parlo solo quattro.”
18. Inizia lo spettacolo. Quasi due ore di acrobati, saltatori, giocolieri, musica, luci, costumi, coreografie, scenografie, giochi d’acqua, trapeziste, verticalisti, jet sky, clown, profumo di popcorn, zucchero filato e talento. Lo spettacolo nello spettacolo sono le facce dei bambini tra il pubblico (alcuni, per fortuna, sono ultraquarantenni).
20,11. Joy ha 35 anni, è italiano e fa il clown. In questo momento è nel foyer e sta pazientemente finendo di farsi fotografare accanto ai bambini (alcuni, anche qui, sono ultraquarantenni). Poi si ferma a parlare con noi: “Io arrivo da una famiglia di circensi perciò a me questa vita sembra naturale: ci sono nato dentro. Poi, è vero, la vita del circo o ti piace o non ti piace, ma sono davvero pochissimi quelli che nascono in questo ambiente e ne escono. Sono molti di più quelli che entrano da fuori, come mia moglie, per esempio. Ma a me questa vita piace in tutti i suoi aspetti, e non sfuggo da nessuno: io sono autista, tecnico, montatore…” E clown? “Paradossalmente ho cominciato per caso, all’improvviso, 17 anni fa: c’era da fare una sostituzione, ho avuto la mia occasione e l’ho sfruttata.” A questo punto ci salutiamo ma, mentre Fabrizio fotografa tutto quello che vede (sarà intorno ai 19.000 scatti), mi frullano in testa alcune riflessioni. Pensiero 1: “Non deve essere facile presentarsi a una ragazza e, quando ti chiede cosa fai nella vita, rispondere: il pagliaccio”. Pensiero 2: “Però non deve essere facile neanche per la ragazza presentarsi davanti ai propri genitori e spiegare: ve lo dico, mi sono innamorata del pagliaccio del circo e scappo con lui”. Pensiero 3: “Che spettacolo, il mondo”.
20,23. Gli artisti si cambiano e raggiungono le loro roulotte mentre i tecnici rimettono tutto in ordine. Questo circo è una piccola città con 112 abitanti ma nessuna nazionalità: tra i 35 artisti ci sono spagnoli, italiani, francesi, cinesi, ungheresi, portoghesi, romeni, polacchi, etc.
21,09. Elvane ha 16 anni ed è acrobata, ma noi la coinvolgiamo come interprete, visto che parla (e scrive, e legge) anche un perfetto cinese. È lei ad accompagnarci al camper delle artiste cinesi e presentarci a Lu Cha, Mei Lin e Bei Bei. Ci spiegano che in Occidente, in genere, gli artisti nascono da famiglie circensi, mentre in Cina riuscire a entrare in una delle grandi scuole di circo è un traguardo molto ambito e perciò sono moltissimi quelli che provano a sottoporre i propri figli ai test di ammissione. Loro tre, che hanno tra i 18 e i 20 anni, ce l’hanno fatta. Sono entrate a scuola intorno ai 10 anni e fanno parte di una compagnia di sei elementi. “E andate d’accordo? “Ci conosciamo da tutta la vita: siamo cresciute insieme, nella stessa scuola, viviamo insieme e lavoriamo insieme. Siamo come sorelle, non so se capisci?”
22. Si gela. Nell’area del circo ci sono: i due grandi tendoni, la tenda officina, settanta tir (trenta sono abitazioni e gli altri per la movimentazione), venti roulotte, venti camper, due tir-generatori, un camion cisterna per l’acqua, la sartoria e un pullman adibito a scuola. Sì perché qui abitano otto allievi in età scolare e tre liceali. In questi giorni la scuola è chiusa, perché segue il calendario scolastico spagnolo, ma normalmente c’è una maestra che insegna seguendo i vari livelli scolastici e ogni trimestre arrivano gli ispettori spagnoli per gli esami. Quelli finali si sostengono in loco mentre per quello di maturità bisogna andare a Madrid.
22.40. Elsa va per gli ottanta ed è la storia del circo (che, scopriamo, ha radici torinesi): “Io vivo in carovana da quando sono nata, a Ferentillo, vicino a Terni, perché il circo dei miei genitori in quel periodo era lì. La nostra famiglia arriva dal circo Travaglia, che ai tempi era il più importante d’Italia. Stiamo parlando di metà Ottocento, quando c’erano i carretti con i cavalli e mancavano tutti questi agi: l’aria fresca d’estate, il riscaldamento d’inverno. Insomma, successe che questo torinese, questo Giacomo Zoppis – che era un palestrante, non un circense – si innamorò di una cavallerizza, Amelia Travaglia, che era la nonna di mio marito e perciò scappò con lei e divenne acrobata. E da qui parte la storia degli Zoppis. E arriva fino a oggi.”
23,22. La piazza delle carovane ha qualcosa di fiabesco. Roulotte enormi una accanto all’altra, fornelletti all’aperto, verande, scalette: il sapore è quello delle diligenze messe in cerchio per combattere gli indiani. Sabine ha 18 anni, è trapezista, e ci apre le porte del gigantesco bilico dove vive con i genitori, la sorella e il fratellino. “Perché ho scelto il trapezio? Mi piaceva da quando mi ricordo di avere memoria. Era il mestiere di mia nonna e quello di mia madre, anche se mia madre ha fatto di tutto per farmi cambiare idea, non voleva proprio. Ma alla fine si è dovuta arrendere, e doppiamente, perché è stata lei la mia insegnante: a quel punto si era messa l’anima in pace e non poteva mica lasciare che mi insegnasse qualcun altro. Oggi so di aver fatto la scelta giusta. Se provi il trapezio e poi ritorni a fare qualche disciplina acrobatica a terra, non ti piace più. Perché non si può raccontare la sensazione di stare lassù nell’aria: è indescrivibile.”
24,18. Il circo dorme. Noi facciamo un ultimo giro con Heidi, la produttrice: “Il circo è una grande famiglia per davvero: qui i tuoi colleghi sono anche i tuoi amici e i tuoi vicini di casa. Il contatto è continuo e il lavoro intensissimo, non si stacca mai, non si finisce. Però la tua ricompensa è viaggiare, perché se fai questo mestiere è perché ti piace viaggiare. Oggi è più facile, i miei figli sono fortunati: col web se conosci qualcuno rimani in contatto. Ai miei tempi quando conoscevo qualcuno non potevo neppure lasciargli un indirizzo dove spedirmi le lettere. Ma non rimpiango nulla: quando scegli il circo non scegli un lavoro, scegli una vita. E ci sei dentro per sempre.”
ENRICO REMMERT