Vittima e carnefice: l’ombra della morte che diventa spettacolo

Avatar Armando Talas

Per quanto strano, esiste nella lingua tedesca la parola apfelschuss, che significa precisamente “colpire una mela”. Lo spettacolare numero di centrare con una freccia la mela appoggiata sulla testa di qualcuno ha probabilmente origini antichissime, che si perdono nel mito, addirittura antecedenti alla leggenda medievale di Guglielmo Tell, l’eroe nazionale svizzero che si narra dovette colpire con la balestra una mela posta sul capo del proprio figlio.

Negli spettacoli di circo, oggi come in passato, si propongono sfide simili, ad alto impatto emotivo, dove non si scommette la testa di un figlio, ma l’incolumità di un professionista consapevole dei rischi che corre.

Che il rischio sia parte integrante di molte discipline circensi è un fatto certo, inequivocabile e ineludibile; anzi, nel rischio sta l’attrattiva stessa di molti numeri.

Gli spettacoli che prevedono il lancio di coltelli o l’utilizzo della balestra perderebbero il loro autentico significato se si utilizzasse un bersaglio di cartone: il tiratore potrebbe essere ugualmente abile, il tiro perfetto, ma l’effetto sullo spettatore sarebbe scarsamente emozionante, simile a quello di chi assiste al tiro a segno. La vera attrattiva di questo tipo di numeri sta nella sfida alla morte: serve una possibile vittima, quasi invariabilmente una giovane donna, che metta coraggiosamente a repentaglio la propria sicurezza. La sfida è duplice e l’atto di coraggio doppio: la temerarietà di chi lancia il coltello o spara il dardo non è inferiore a quella di chi vede la punta aguzza piantarsi a pochi centimetri dal proprio corpo. Si tratta di complicità nel rischio, di reciproca fiducia. Io non sbaglierò, sembra dire il tiratore con un muto linguaggio; ne sono certa e starò immobile, risponde la sua partner artistica.

Analizziamo e cerchiamo di capire questo rapporto, fondamentale per questa antichissima tipologia di spettacolo.

Partiamo dai ruoli. Classicamente chi tira è un uomo e chi finisce circondata di lame taglienti o dardi appuntiti è donna; esistono eccezioni che rompono questo schema, come nel 2021 il duo Double Risk di Marco Moressa e Priscilla Errani, ma sono ancora piuttosto rare. Si tratta di una questione di genere che affonda le sue radici nel passato più remoto. È di solito l’uomo, che fin dai tempi antichi è dedito alla caccia e alla guerra, a utilizzare le “armi da spettacolo”, mentre la donna gli affida fiduciosa il suo destino. Inevitabilmente, nel circo che vive di cultura contemporanea, questi ruoli di genere saranno sempre meno rigidi, fino allo stravolgimento. E ben venga: il circo dovrebbe essere rottura degli stereotipi, superamento dei limiti tradizionali, libertà d’innovazione.

Ma andiamo alle radici prime di questo tipo di show: la sfida alla morte e il potere. Uno dei due artisti utilizza un’arma potenzialmente letale, o che comunque può fare estremamente male, e dimostra la sua abilità giocando con l’altro, arrivando vicino alla sua carne, ma senza mai colpirlo.

Perché il pubblico ne è attratto?

La risposta è complicata e forse uno psicologo saprebbe darla meglio di me. Personalmente credo si tratti di una specie di rito incosapevole, che esorcizza alcuni terrori umani. Si gioca con la morte e si vince, creando prima tensione ed estrema suspence, poi un piacevole senso di liberazione. È la vittoria sulla morte sfiorata, sul dardo che schivammo per un pelo, se ci immedesimiamo in chi vede le lame piantarglisi attorno. Ma c’è di più, perché abbiamo anche l’occasione di immedesimarci nel tiratore. E allora non solo proviamo il sollievo di non aver fatto male a nessuno, ma proviamo soprattutto un senso di trionfo per aver vinto la sfida. 

Assistiamo alla rappresentazione idealizzata di un rapporto di potere che si conclude senza nessuna vittima, senza spargimento di sangue, anche se potenzialmente potrebbe accadere il peggio. Non c’è nemmeno una vittima psicologica della paura, perché il rischio è accettato, affrontato a viso aperto.

Se esistono delle armi che si possono utilizzare senza ferire nessuno, ma per esorcizzare i demoni più oscuri dell’animo umano, sono quelle dello spettacolo.