L’ingenuo le promise: “Sarai la regina del carnevale!”. Ma lei, nata da una notte d’amore tra un marinaio e un’orca assassina, già sapeva. Così gli donò due perle del mare avvertendolo: “Come pensi di poter entrare nel grande castello?”. E mentre sobbalzava, nascosta in quel carro, sentiva la lontananza ravvivare quel focolare che trovava ogni giorno sempre più mediocre.
Arrivati, qualcuno girò la puleggia, altri girarono il mondo. L’ingenuo ne veniva perennemente schiacciato. La donna ne seguiva il moto, tanto che, quando scoprirono davanti all’intera corte reale il telo che la nascondeva, non si stupì affatto dello sconcerto e del seguente vociare colmo di insinuazioni. Attese che la bocca della regnante si aprisse per darle una benedizione o una maledizione. E fu una risata sguainata: “Quale creatura ci hai portato? Voglio proprio vedere quale strano sesso possiede! Soldati spogliatela! Poi rinchiudetela in attesa di domani, la folla impazzirà a vedere questa balzana nudità!”.
La donna fu umiliata e non disse nulla. Nemmeno fece resistenza, al contrario del suo compare, in perenne dibattito con la propria stupidità.
Scese la notte. E scese le scale, verso le segrete, una sorpresa che tamburellò alle sbarre dei due, illuminata da una fiaccola: era la figlia del re!
“Signora, non posso liberarla ma i disegni che ha sul volto, di più sfavillanti mai ne ho visti! Sono frutto della sua bravura? Quanto vorrei averli anch’io …”.
L’ingenuo si alzò arzillo e si diresse verso quella candida fanciulla ma la donna con un gesto risoluto lo accucciò: “Tu stai buono, sei corso fin quassù solo per gli agi materiali che comporta un matrimonio, non certo per giovare al suo crescere”. Detto questo si avvicinò alle orecchie della vergine e le disse: “Ho imparato l’arte del trucco dalle sirene ma se vuoi diventare una vera principessa prima di provare diletto nell’agghindarti, devi trovarlo nello stare da sola. Immergiti in una vasca e gioca con le dita, cerca cosa ti procura piacere e abbandonati beata”. L’adolescente arrossì di vergogna pensando alla propria verecondia così lontana dall’impudicizia della madre e si congedò promettendo alla dama un vestito da indossare alla parata.
La donna prese una brocca, intinse l’indice e il medio sinistro e disegnò intrecci floreali sulla propria pelle. L’ingenuo scosse il capo: “Cosa fai? E’ acqua, non inchiostro! Una volta asciutti, quei disegni scompariranno!”.
La donna gli rispose: “Sono certa che tra la folla ci sarà chi saprà leggerli e apprezzarli …”. Nel mentre la futura sposa ordinava un bagno caldo e chiedeva alla sua ancella di lasciarla sola. Per favore.
Racconto di Paolo Negri, illustrazione di Eugenio Broggi
Tratto da “22 Arcani circensi, freaks e simili”, Il Cavedio (2022) ilcavedio@ilcavedio.it