Vincenzo parlava un’altra lingua, io non la capivo. Vincenzo arrivava da un’altra terra, io non vi ero mai stato. Vincenzo era fatto di euforia e bontà, io quella pelle non la sopportavo.
Non gli rivolsi mai la parola, neanche un saluto, fino alla mattina in cui mise una mano sulla mia spalla: “Vieni Simone, a te affiderò il compito più importante!”. Lo spintonai e minacciai: “Non provare mai più a toccarmi! Capito? Tu e quelle cazzo di mani di merda!”.
Si augurava che mi occupassi di un ragazzo su una carrozzina, che lo aiutassi a usare una tavola di legno con delle palline.
Cazzate. Pomeriggi interi con dei minorati tra cerchi, clave, nasi rossi e stronzate varie. Era questo il progetto? Manco avessi avuto 5 anni…
Nella sua palestra però qualche volta entrai, fuori faceva troppo freddo. E lui non perdeva mai occasione per invitarmi con loro.
Io ero schifato da quel clima gioioso.
Passò del tempo e i miei voti peggiorarono, al contrario delle mie conoscenze, sempre più prestigiose. Con la gente giusta iniziai a rubare. Finalmente la mia vita stava prendendo una direzione.
Me lo meritavo.
Una sera mi stavo scaldando attorno a un bidone. Ero strafatto di coca, su di giri a bestia e non so perché ma presi un pezzo di legno lungo e sottile, degli stracci, incendiai le estremità e lo feci roteare. Il piccolo pubblico di grandi tossici presente, iniziò a baccagliare infervorato. Galvanizzato da quella reazione, il giorno successivo mi esercitai. E il giorno dopo ancora. Volevo creare un’esibizione che li lasciasse basiti.
E diventai così veloce da non accorgermi di chi mi stava attorno.
Infatti non feci caso a Vincenzo, lì a fissarmi, con la solita espressione ebete: “Domani c’è il saggio di fine anno, vieni e porta i tuoi attrezzi, apprezzeranno tutti”. Io gli risposi spaccando l’asta in due, buttandola a terra e sputandoci sopra. Eppure ci andai. Sì, con l’intento di fare incetta di portafogli. La sala era gremita di babbi di minchia e la mia mano pronta quando quel cazzo di Vincenzo disse al microfono: “In conclusione vorrei che applaudiste Simone, sta diventando bravissimo con il fuoco ma è timido”.
Corsi fuori pieno di rabbia, estrassi il coltello e gli rigai tutta la macchina.
Sono passati vent’anni da quel giorno. Perché proprio ora mi è venuto in mente Vincenzo? Non ho il suo numero e nemmeno saprei cosa dirgli…
Racconto di Paolo Negri, illustrazione di Eugenio Broggi
Tratto da “22 Arcani circensi, freaks e simili”, Il Cavedio (2022) ilcavedio@ilcavedio.it