A Cesira neanche il nome aveva portato fortuna. Però ci si abitua, a una vita senza gloria, con una scopa in mano a pulire coriandoli alla fine della festa, che certe volte sembrano lanciati apposta, un po’ per dispetto un po’ per compassione, da gente che di lei ignorava l’esistenza intera, fino a diventare invisibile, da sempre al cuore degli altri, poi persino agli occhi.
Tanto che il principale, notando quella saggina muoversi avanti e indietro sulla pista, quasi morì d’infarto! Di fantasmi col lenzuolo ne aveva incontrati a bizzeffe ma di quelli che proprio non si vedono, questo era il primo! Ripresosi dallo spavento, gli venne in mente che solo Cesira svolgeva quel compito. Chiamò il suo nome e l’attrezzo si fermò e una voce coincidente alla donna rispose.
“Cambierà poco o nulla” le giurò quel trafficante di bugie “fidati”. Infatti la mansione della poveretta rimase la stessa: muovere oggetti e intascare un tozzo di pane a fine lavoro.
L’unica differenza furono tutti quei visi che distanziati da un vetro ora la fissavano e la indicavano: “Guardate la donna invisibile all’opera!”.
A lei certo non importava esser passata da dietro a davanti le quinte. Cercava altro.
E lo trovò nel capo chinato verso terra di una ragazzina tenuta con una catena al collo da un uomo che grugniva. E che davanti a quell’inspiegabile mistero decise di irrompere per toccare con mano l’invisibilità: scardinò la porta e bramirono gli elefanti, mulinò la sabbia e si nascosero le pulci, corse l’uomo cannone e fermò quell’attacco.
Tornato a casa, l’usurpatore incatenò la giovane moglie vicino al camino e andò a defecare. In un angolo, appoggiata al muro, stava Cesira, che del trambusto aveva approfittato per scappare e seguire quell’anima che le parlava un lessico non verbale. Le si avvicinò e le aprì il catenaccio. A quel rumore la giovane si spaventò e si guardò attorno, non abituata alla libertà e a ciò che comporta. Una novità che la congelò nell’immobilità e l’uomo, trovata la catena aperta, la picchiò.
Dopo ore, visto che lei non si svegliava, sentendola fredda, la prese tra le braccia e la posò vicino al fuoco, nella fiducia che il calore di una fiamma le ridonasse la vita. Ma quest’ultima, andandosene, ne portò via un’altra: il violentatore fu trafitto alle spalle da un ferro appuntito, usato per scostare la brace.
Volgendo i dubbi al cielo, il morente cercò un ultimo sguardo a cui aggrapparsi ma non vide nulla, sebbene qualcuno lo stesse proprio fissando.
Cesira non tardò ad aprire il torace della bestia e, tra gli ingranaggi organici, estrasse quel piccolo cuore atrofizzato e tanto crudele. E si mise ad ascoltare i battiti, gli ultimi, prima di assaggiarlo. Non per vendetta, non per giustizia, ma per conoscere gli ingredienti che avevano portato un possibile Principe a diventare un perfido Barbablù. E le venne voglia di raccontare una fiaba…
Racconto di Paolo Negri, illustrazione di Eugenio Broggi
Tratto da “22 Arcani circensi, freaks e simili”, Il Cavedio (2022) ilcavedio@ilcavedio.it