Al mercato, Bernard ingannava i creduloni con quel gioco dove vince chi indovina in quale dei tre bicchieri rovesciati è nascosta la pallina. Io potevo smascherarlo quel misero trucco, lui lo capì, ritirò il banco, si avvicinò e mi offrì una bella birra.
Così conobbi il pezzente più sfacciato di tutta Londra: “Un giorno sarò ricco e famoso, l’avvenire dipende solo da me!”. Per sfidare questo suo credo, gli proposi la divinazione delle carte da una zingara da cui mi recavo per ogni mia decisione. Avrei offerto io a questo giro e lui mi irrise: “All right! Farò l’opposto di quello che lei mi dirà!”. E allungò la mano per sigillare il patto.
La cartomante mise sul tavolo gli arcani e quando apparve l’undicesimo, chiese: “Lei non crede alla forza del destino, vero?”. Quasi come fosse l’eco di quell’immagine, si sentì un fragoroso ruggito provenire dal tendone accanto, dove era in corso uno show. Bernard si precipitò al suo interno, dopo aver sdegnato la veggente, e quando il domatore chiese se qualcuno avesse avuto il coraggio di avvicinarsi al re della foresta, lui alzò la mano.
All’uscita leggemmo giusto un annuncio: “Cercasi inserviente per badare agli animali”. “Visto?” mi fece un buffetto “Quella matta si sbagliava, la fortuna non capita, la fortuna si guadagna!”.
Quell’uomo era briosamente ardito e a me intrigava sempre più.
E voi non ci crederete, ma in meno di tre anni divenne il domatore di leoni più celebre d’Inghilterra! Per giunta il solo a non usare la frusta! A lui bastava quel suo fare sicuro e penetrante…
Diventammo amici inseparabili nonostante lui rimarcasse spesso la mia scommessa persa.
Poi una mattina di giugno si presentò più grintoso del solito, mi lanciò il giornale e disse: “Un esemplare unico! Un leone bianco!
Lo voglio! E tu verrai con me in Africa!”.
Ci mettemmo mesi. Infine lo trovammo e ingabbiammo.
Ennesima sfida vinta.
Il giorno precedente il volo di ritorno, una piccola tribù venne a spiegarci che quell’animale era sacro e che almeno il suo spirito doveva rimanere con loro. Serviva un rito, Bernard acconsentì e mi obbligò a parteciparvi.
Alla sera, attorno a un fuoco, gli indigeni iniziarono la cerimonia imitando le movenze dell’animale imprigionato.
Dopodiché lo sciamano si avvicinò e ci diede delle radici da masticare. Iniziammo a sudare ed agitarci. Quando i tamburi raggiunsero un ritmo insostenibile per le nostre menti, i danzatori ci accerchiarono. Ebbi paura e guardai Bernard: era in completa catalessi!
Mi precipitai in tenda a prendere il fucile ma la moltitudine dei presenti mi fece desistere dallo sparare. Allora saltai sulla jeep diretto alla vicina base dell’esercito britannico. Tornammo subito coi rinforzi ma non trovammo tracce né degli indigeni né delle tende né di Bernard.
C’era solo un leone accucciato a terra che ci guardava incuriosito. Un soldato alzò l’arma, prese la mira e mentre fece fuoco: riconobbi in quell’animale gli occhi del mio amico scomparso…
Racconto di Paolo Negri, illustrazione di Eugenio Broggi
Tratto da “22 Arcani circensi, freaks e simili”, Il Cavedio (2022) ilcavedio@ilcavedio.it