Ugo Ancillotti, l’acrobata in bicicletta

Avatar Angelo D'Ambra

Quando Ugo venne alla luce, il 3 novembre 1869, suo padre Eduardo aveva stupito l’Italia percorrendo i bastioni di Pisa su un velocipede. La bicicletta era nata da poco e già il semplice fatto di stare in equilibrio sulle due ruote era giudicato una questione di coraggio. Eduardo appariva un temerario, imprudente e folle. Con suo fratello Olindo, aveva costituito una straordinaria squadra di ciclisti acrobatici, facendo dello sconosciuto Ancillotti un nome di grido nel panorama circense italiano. Ugo iniziò a partecipare agli spettacoli del padre all’età di quattro anni, ritagliandosi in breve una sua rilevanza. Un numero della “Rivista delle corse” del 1891 riferiva: “All’Eden agisce con successo la famiglia velopedistica Ancillotti composta di dieci persone, con quadriglie ed esercizi da giocoliere, eseguiti con una precisione degna di encomio. Principale attrattiva della troupe è il figlio Ugo Ancillotti, monociclista distintissimo“.

Alla morte del padre, Ugo ereditò la guida della famiglia, collaudando una squadra di nove ciclisti acrobatici e allestendo show sempre più complessi e pericolosi.

E’ al suo ingegno che si deve l’evoluzione del “looping the loop” di W. H. Barber. Solitamente si vedeva un ciclista acrobatico che, percorsa una rampa in legno inclinato, si proiettava a tutta velocità in un anello chiuso e ruotava a testa in giù nel completare il giro. Ugo si rese conto che, raggiunto il punto più alto della traiettoria, le ruote delle bici non aderivano esattamente all’anello. Così gli venne un’illuminazione. Fece tagliare l’anello e nacque il “looping the gap“, un numero sensazionale in cui le bici percorrevano un anello la cui sezione superiore era stata tagliata col risultato che nel punto più alto del giro, Ugo compiva un salto nel vuoto, tra le sezioni rimanenti dell’anello, con la testa in giù e le ruote in alto. Ci volle poco ad aggiungere al numero un secondo anello posto di fronte al primo, con due ciclisti che si lanciavano nel vuoto incrociandosi.

Il Barnum Circus fece l’impossibile per averlo con sé e gli offrì un contratto stellare. Negli States, Ugo raggiunse una reputazione inaudita che lo spinse anche a scrivere degli aspetti tecnici del suo numero. In un passo riferì orgogliosamente: «Si sappia che io, Ugo Ancillotti, suddito del Re d’Italia, residente nella città e nella contea di New York, Stato di New York, ho inventato alcuni nuovi e utili miglioramenti nelle imprese atletiche e mezzi per eseguire lo stesso; e con la presente dichiaro che quanto segue è una descrizione completa, chiara ed esatta dell’invenzione, che consentirà ad altri esperti nella tecnica a cui appartiene di fabbricarla e usarla. La mia invenzione riguarda le piste e gli apparecchi per consentire ad atleti, motociclisti o automobilisti e simili di compiere l’impresa di ciò che è noto come “looping-the-loop” e altri percorsi pericolosi su ruote, automobili e simili; e lo scopo della mia invenzione è di fornire mezzi per cui l’esecutore o il pilota in un atto continuo su un’auto sia abilitato non solo a lasciare la pista e fare un cerchio completo, una capriola o una rivoluzione con la sua auto attorno a un asse, ma anche tornare in pista a una velocità tale che lui, con l’auto, possa fare un lungo salto nello spazio o su una separazione in pista e poi a terra all’arrivo».

Ugo era diventato un’autorità e assieme una modernissima icona di audacia e spericolatezza. Quando entravano in scena gli Ancillotti eseguivano numeri portentosi di destrezza, forza ed equilibrio, con salti mortali su bicicli e monocicli. Il pubblico accorreva agli spettacoli della sua squadra di ciclisti con la consapevolezza che nulla gli sarebbe parso più arrischiato del numero delle bici degli Ancillotti. E così, nel marzo del 1905, anche il Madison Square Garden rimase a bocca aperta.

Gli occhi sgranati, il colore dello stupore sulle gote. La gente incapace di esprimersi al di là di grida di meraviglia e approvazione. Ugo, seduto su una bicicletta, percorse a tutta velocità una rampa e spiccò il volo, mentre, più in alto, su una seconda piattaforma, suo fratello Ferdinando fece lo stesso.  Davanti agli occhi degli spettatori increduli, Ugo percorse quattordici metri nel vuoto atterrando su una terza rampa e lanciandosi ancora in un vuoto di nove metri, mentre Ferdinando compì un giro completo a testa in giù sulla sua bici, passando a poca distanza dalla sua traiettoria. L’eclatante numero aveva il nome di “looping the quadruple chasms in the aerial paradox“. Il New York Daily Tribune ebbe qualche difficoltà nel descriverlo.

Il mese dopo lo spettacolo fu sospeso per un tremendo incidente incorso a Ferdinando. Il numero era pericoloso. Infortuni e lesioni non erano rari, tuttavia l’attrattiva era enorme e i guadagni lauti. Tornato in Francia, Ugo sfruttò la sua notorietà e la sua grande abilità presentando il suo spettacolo di biciclette al Cirque Plège. Qui conobbe Lucie, figlia del proprietario Antoine Plège, e la sposò, divenendo poi proprietario del circo ed avviandosi ad una carriera di impresario.