Ci sono spettacoli che nascono, vivono una messinscena e muoiono. Ci sono spettacoli che nascono, fioriscono, si consolidano. Sempre più belli. Anno dopo anno. Replica dopo replica. È il caso della “Lettera”, che il ferrarese Paolo Nani porta in giro da oltre vent’anni per l’Europa. E che noi abbiamo visto da poco al Binario 7 di Monza.
Uno spettacolo che più minimalista non si può. Niente scenografia, niente musica. Luci fisse, fondo nero. Niente parole, appena qualche smorfia. Gorgheggi, imprecazioni grammelot, “volgarmente” ironiche, biascicate tra i denti. Vocalizzi lirici, perduti nell’aria.
Eppure nonno Nani (57 anni, gli ultimi venti trascorsi in Danimarca, e un nipotino) riesce sempre a farti precipitare dalla poltrona dalle risate. Con suoni, rumori, gesti. Con quegli occhi strabuzzati, leonini, intriganti. Occhi che scrutano e ipnotizzano. Soprattutto, regalano la risata: di pancia, di testa, grottesca, demenziale, splatter, sofisticata. Dipende da lui. Dipende da te. Se ti fai contagiare. Se ti fai trasportare. In un mondo nuovo. In un modo nuovo, eppure artigianale, di fare teatro.
Format essenziale, pochissimi oggetti scenici: tavolino, sedia, bottiglia di vino, bicchiere. Busta, lettera, francobollo e penna. Una foto di donna (di nonna?) d’imbarazzante bruttezza. E naturalmente lui, Paolo Nani. In bretelle. Semipelato. I capelli schizzati alle tempie. Un fisico ben allenato. Perché, oltre l’apparente sedentarietà della performance, ci vuole fisico per fare certe cose: saltare da fermo su una sedia; ghermire un bicchiere con i denti; fissarlo tra le anche; riempirlo da una bottiglia svuotata con la mascella, con l’ausilio di una cannuccia; piegare la testa fino all’inguine, per riacciuffare il bicchiere con la bocca e finalmente bere.
Quella che abbiamo descritto è una sequenza di “senza mani”, una delle quindici scene in cui si articola lo spettacolo. Quindici generi o stili narrativi. Quindici modi di proporre la stessa situazione. Un uomo che scrive una lettera, ci beve su, e poi… quello che succede, succede.
È un tema con diverse variazioni, ispirato a “Esercizi di stile” di Raymond Queneau. In filigrana c’è la formazione di Nani: circo, clownerie, giochi di prestigio, l’attore-mimo ceco Bolek Polivka, l’Odin Teatret di Eugenio Barba, altro celebre connazionale rifugiato in Danimarca. Cervelli in fuga, anche dalle teste.
Nani dà vita a microstorie tutte con la stessa trama, ma interpretate ogni volta in modo diverso. Introduce le gag con semplici cartelli didascalici: “ripetizioni”, “all’indietro”, “con sorprese”, “horror”, “circo”, “ubriaco”, “volgare”, “western”, “cinema muto”, “pigro”.
È impossibile non apprezzare il talento di questo saltimbanco che elude la parola e raggiunge un pubblico di tutte le età e di tutte le lingue, dalla Groenlandia (dice lui, ma vatti a fidare) alla Spagna. E anche i turchi hanno riso sulla sua bocca sbavante, sui francobolli che s’attaccano alla lingua o al palato, sui gustosi spuntini a base di caccole o di chewing-gum premasticati scovati, freschi e filanti, appiccicati sotto il tavolo.
Che sia Buster Keaton o licantropo, Lee Van Cliff o Bela Lugosi, Nani conquista per genialità, controllo totale dei tempi comici, capacità di riempire lo spazio scenico. E perfetta empatia con il pubblico. E allora giù con gli applausi. Con i bis in pillole. E un momento finale di feedback con la platea. Nessuno vuole che finisca. E allora l’artista, per andare finalmente a mangiare, è costretto a esibire l’ultimo cartello: “Andate via”.
LA LETTERA
In scena: Paolo Nani
Ideazione: Nullo Facchini e Paolo Nani
Regia: Nullo Facchini