In libreria Fellini: ho sognato Anita Ekberg. José-Luis de Vilallonga parla con Federico Fellini. (Edizioni Medusa, pp 172, € 15) . Il libro, di cui qui anticipiamo due brani, è una lunga intervista al regista fatta dal giornalista-scrittore-attore spagnolo. I disegni pubblicati sono tratti dal Libro dei sogni di Federico Fellini, che è al centro dell’esposizione aperta nei giorni scorsi a Rimini nel contesto della Biennale del Disegno che somma oltre 20 mostre monografiche distribuite in sei sedi museali, tra cui Castel Sismondo.
«Mi vestii in tutta fretta. Divorai i gradini a quattro a quattro, il mio galoppo rimbombava come il tuono nella casa addormentata. Già dalla soglia, cominciava un altro mondo. Un mondo senza frontiere, vasto quanto l’immaginazione. Sotto la corolla gigantesca del tendone di tela bianca che avevo scambiato per un ombrello, una folla screziata e rumorosa, uomini, donne e bambini, si affaccendava intorno a roulotte e gabbie dentro le quali, per la prima volta in vita mia, vedevo delle fiere imprigionate. Pentole fumavano, odorando di zuppa. Bambini poppavano al seno delle madri. Grandi quarti di carne rossa scomparivano come per incanto nelle fauci delle belve. La mia testa si mise a girare. Non sapevo più dove guardare. Né cosa dire, o cosa fare. Questo frastuono, questi colori così violenti, questo tepore che ti prendeva alla gola e soprattutto questo odore – segatura, sterco, sudore – in cui scoprivo il più meraviglioso dei profumi, mi rendevano folle, in preda alla felicità! Mi misi a vibrare di una sorta di febbre che non era che la gioia allo stato puro. Nella gente del circo, avevo riconosciuto, ancora confusamente, la mia gente. I soli esseri umani che avrei sempre capito. (…)
«Vidi quel mattino cose che mi entusiasmarono. Altre che mi fecero molta paura. Altre ancora di cui non ho mai potuto chiarire il mistero. Ho visto uomini baffuti dai bicipiti rosa sollevare manubri enormi che, ripiombando al suolo, rimbalzavano leggeri come palloni riempiti d’aria. Una dama d’età venerabile dire il suo rosario accarezzandosi con un gesto compassato la sua bella barba bianca. Una giovane donna, bellissima, pallidissima, distintissima, che si infornava nella gola un lungo serpente verde dallo sguardo disperato. Bambini della mia età che si lanciavano in aria dall’alto di una torretta di legno, ed erano afferrati a pochi metri da terra da acrobati in equilibrio su una corda che scendeva dal cielo. Un signore calmissimo che si abbatteva a gran colpi di sciabola su una signora che sferruzzava delle scarpine da neonato. Un altro signore, non meno imperturbabile, che vuotava le tasche con una profluvie di conigli, colombe, sigari fumanti, lampadine elettriche, mazzi di fiori… Una ragazzina tutta bionda che danzava graziosamente sospesa in cima a lungo bastone tenuto in cima a un braccio da un giovanotto con gli occhi verdi.
«Estenuato da questa incredibile giornata, mi addormentai profondamente a tavola durante la cena. Inquieta, mia madre parlò di trascinarmi, il giorno dopo, dal vecchio dottore di famiglia. “È inutile, fece mio padre da dietro il giornale. Questo bambino cresce troppo alla svelta. Ecco tutto”. E mi strizzò l’occhio, come se fosse un fatto acquisito che io esagerassi intenzionalmente la mia crescita.
«Nonostante questa terribile fatica, passai buona parte di questa memorabile serata incollato alla ringhiera del mio balcone, ad ascoltare il ruggito dei leoni, gli schiocchi di frusta e la musica. Una musica a parte, come non ne avevo sentita mai. Viva, gaia e volgare, e che lasciò tuttavia sulle mie labbra un gusto di cenere.
«Cercai intensamente di figurarmi ciò che poteva accadere sotto il grande ombrello di tela bianca rischiarato dalla luna. E siccome non sapevo ancora che uno spettacolo reale non sorpassa mai in bellezza le fantasmagorie immaginarie, mi sentivo infelice come le pietre.
«La terza notte, mio padre decise improvvisamente di portare i suoi figli allo spettacolo. Mia madre protestò per mantenere il contegno. Lei ci vedeva già, mio fratello e me, traviati dalla visione di questo mondo pericoloso del quale percepiva, con una specie di buon senso mischiato a superstizione, le velenose attrattive.
«Seduto in prima fila nel cerchio magico, feci quella sera conoscenza con la Vita. Quella vera. Quella che sfugge alla ragione. E per lo stesso motivo mi innamorai violentemente del primo essere totalmente irrazionale incontrato sul mio cammino: una ballerina di sedici anni, in tutù, gambe inguainate di malva, che eseguiva al violino, in groppa a un asino al trotto, la Serenata di Toselli. Ogni volta che passava davanti a me, mi faceva la lingua. Per la felicità, io cadevo in deliquio.
«Quando il circo lasciò Rimini, piansi ore intere per la disperazione».
«Ancora oggi, a quarantatré anni, il circo mi sconvolge e mi terrorizza come quand’ero un bambino. Non posso non vederci lo sforzo disperato che l’uomo fa per organizzare la propria vita. Perché il circo è prima di tutto, lo spettacolo stesso della vita. Tutti gli elementi vi si ritrovano, gettati là, alla rinfusa, così violenti, così tragici, così teneri. Tutti, senza eccezione. La vita collettiva, per esempio. La più difficile che ci sia. Fatta di lavoro di squadra, di successi personali, di fallimenti, di gelosie, di bellezza e di miseria, d’amore, di vergogna, di odio. E il tetto provvisorio. Temporaneo come noi sappiamo essere – da qui la nostra perenne angoscia – la maggior parte delle case vere. Ci si ritrova, ancora, la grazia. Perché ci sono dei bambini. E il ritmo. Perché ci sono degli animali. E la paura. Perché c’è l’uomo. Non scordiamoci anche la morte, sempre presente – come in tutti i riti e in tutte le religioni –, in attesa paziente delle sue vittime innocenti o colpevoli.
«Sì, il circo, Luigino, è uno spettacolo sempre al bordo della follia. È per questo che mi appassiona. E questa follia, noi vogliamo, come nella vita, crederla organizzata. In effetti lo è. Ma organizzata da dei pazzi. Pensa ai clown. Hai capito fino a che punto ci mettono in scena impunemente la tragedia dell’allegria? E noi ne ridiamo, invece di piangere?…».