Parma, museo dei girovaghi spostato in altra città. Ma gli abitanti lo fanno rivivere

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I cimeli delle famiglie, di Compiano, che tra Ottocento e Novecento divennero famose in tutto il mondo per i loro spettacoli con animali esotici, sono stati trasferiti a Vigoleno, nel Piacentino. La decisione della nuova proprietà non è piaciuta agli abitanti del Comune del Parmense che si sono visti privare di un pezzo della loro storia e hanno deciso di dare vita a una esposizione temporanea

 Un museo strappato alle sue radici e un gruppo di cittadini che si rimbocca le maniche per farlo rinascere, e non perdere la propria identità. È quello che è successo a Compiano, comune montano del Parmense, conosciuto in tutta Italia per il suo castello medievale e per la tradizione degli Orsanti, i girovaghi che tra Ottocento e Novecento divennero famosi oltre i confini dell’Europa per i loro spettacoli di scimmie, cammelli e orsi ammaestrati. La loro storia fino a qualche mese fa era documentata nel Museo degli Orsanti, archivio straordinario dei girovaghi della valle Parmense che raccoglieva immagini dell’epoca, abiti di scena, manifesti che pubblicizzavano il ballo dell’orso, la lotta con la belva e gli esemplari di animali esotici al seguito delle carovane di artisti itineranti. Le testimonianze e gli oggetti di scena di questa antica tradizione, poi scomparsa nel primo dopo guerra, erano state raccolte dalla compianese Maria Teresa Alpi, che nel 2011 aveva fondato il museo con i documenti e gli oggetti raccolti durante la sua vita e donati dai discendenti delle famiglie di Orsanti della zona.

Ma con la scomparsa della fondatrice, un anno fa, la nuova proprietà ha deciso di trasferire tutti i cimeli del museo nel borgo fortificato di Vigoleno, nel Piacentino, che però non ha nulla a che vedere con la storia dei girovaghi parmensi. Una scelta dettata dalla volontà di dare più visibilità ai reperti della raccolta, ma che ha lasciato il comune di Compiano privato di un pezzo del suo passato, sradicando il Museo degli Orsanti dal suo contesto naturale. Nonostante la mediazione della Provincia e del Comune, infatti, da inizio maggio oggetti di scena e stampe sugli Orsanti non appartengono più al territorio che ha dato le origini a questa tradizione. I cittadini però non si sono dati per vinti e hanno deciso di riappropriarsi della loro storia e di combattere per vedere riconosciuta la propria identità. Dall’associazione culturale Compiano Arte e Storia guidata da Ettore Rulli è partita l’iniziativa “Gli Orsanti siamo noi”, l’idea di fondare un nuovo museo fatto con quanto rimasto nelle case dei discendenti dei girovaghi della Val Taro. “Abbiamo tentato in tutti i modi di far rimanere qui il museo – spiega il sindaco di Compiano Sabina Delnevo – è sempre stato un’attrattiva per il nostro territorio, era stato pensato per Compiano e fatto anche con le testimonianze della sua gente”. Ora l’idea è quella di far rinascere quel museo da quello che rimane, proprio a partire dai ricordi e dai racconti dei discendenti delle famiglie dei girovaghi che hanno reso famoso il borgo.

A fine luglio, grazie alla collaborazione della gente del posto, è stata inaugurata la mostra temporanea “Orsanti siamo noi – Emigrazione girovaga delle Valli del Taro e del Ceno”, dedicata a oltre 500 famiglie che da Compiano, con i loro animali esotici addestrati, arrivarono in Europa e in Medio Oriente, dall’Egitto al Marocco, dalla Russia alla Scandinavia, riportando poi la ricchezza accumulata nel loro paese natale. Il lavoro è stato fatto grazie al passaparola, contattando le famiglie di girovaghi e chiedendo in prestito materiale rimasto delle loro origini, mentre alcuni parenti degli Orsanti che avevano ceduto il loro materiale al Museo trasferito a Vigoleno, hanno espresso l’intenzione di avere restituite quelle testimonianze, in modo da riportarle a Compiano, per promuovere la sua memoria. “La speranza è che la mostra, per ora temporanea – continua il sindaco – possa attirare visitatori e diventare un punto fisso per Compiano, visto che la storia dei girovaghi rappresenta un patrimonio unico legato a questo territorio”.

(Silvia Bia – www.ilfattoquotidiano.it)