Milano è una città culturalmente viva. Nel suo dedalo di vie, sotto un cielo nuvoloso, schivando gli ostacoli del traffico cittadino, raggiungo il teatro Menotti, dove sta per andare in scena “Destino di Clown”, il nuovo spettacolo di David Larible, il clown italiano più noto al mondo.
David entra in scena tra il pubblico, portando in spalla un ingombrante baule, di dimensioni spropositate, che riesce comicamente a portare sul palcoscenico. Forse il pubblico immagina sia vuoto, perché altrimenti sarebbe intrasportabile, ma io credo sia pieno, ricolmo di tutta la fatica d’una vita d’artista errante, ma anche di sogni, di colori inaspettati, di fantasia, di quell’energia creativa, invisibile ma smisurata, che ogni volta regala al suo pubblico.
Lo spettacolo nasce da un’idea narrativa semplice ed estremamente efficace. Il clown si presenta ad un casting e fa delle audizioni per svariati ruoli in un circo. Viene così rappresentato il mondo circense, il cosmo artistico da cui David proviene, in cui si è formato per diventare un grande artista. Tutto è un tentativo ed esperimento: prova per esempio a fare il funambolo, l’illusionista, il lanciatore di coltelli, il direttore d’orchestra… e da questa serie di tentativi nascono sketch esilaranti, che vedono spesso il coinvolgimento diretto del pubblico, parte viva dello spettacolo.
Ci sono numeri collaudati, classici, ma anche alcune trovate inedite perfettamente riuscite, che denotano un rinnovamento sottile, una raffinatezza crescente, la piena maturità di un artista la cui vena creativa pare inesauribile. Soprattutto, in David è stupefacente la varietà delle emozioni che sa evocare negli spettatori. Ci sono le risate ovviamente, tante e scroscianti, ma anche la commozione, quell’insieme ingarbugliato e inestricabile di emozioni dolci e contrastanti che solo la grande clownerie può regalare.
Non avrete dettagli da me. Non rivelerò nulla che possa rovinarvi la sorpresa, perché questo spettacolo va visto dal vivo. Non c’è altro modo per capire questa operazione artistica se non la partecipazione diretta. Dirò solo che è come guardarsi in uno specchio e vedere qualcosa di apparentemente impossibile nel proprio riflesso: ritrovare la propria giovinezza, la propria infanzia, un sé dimenticato, che forse credevamo perduto, ma che scopriamo essere vivo in una parte remota del cuore.