Parigi, la Ville Lumière, non è solo la città dei grandi musei, dove svetta la piramide lucente e cristallina del Louvre; non solo la città della grande letteratura, dove Marcel Proust scrisse la Recherche, immortalando la Belle Époque e le umane passioni; Parigi è anche, e per eccellenza, la città del circo.
Più precisamente è la città del circo colto, che guarda alla tradizione ma volge lo sguardo al futuro, con impareggiabile lungimiranza, lasciandosi alle spalle i retaggi del passato, le scorie polverose del tempo.
Questo spirito parigino è pienamente incarnato da Le Festival du Cirque de Demain, giunto alla 42esima edizione.
Lo spettacolo si è svolto nel magnifico chapiteau del circo Phénix, struttura immensa, gremita da oltre 5000 spettatori, dove nessun palo o traliccio intralcia la visione da parte del pubblico.
Si tratta di un pubblico giovane e straordinariamente vitale, entusiasta, che fa la ola, applaude, urla la sua gioia.
In due sere ho visto susseguirsi 23 numeri di livello eccelso, oltre alle ottime performance della Compagnia Soralino, che ha divertito il pubblico con due entrée di nuova clownerie caratterizzate da freschezza e notevole abilità.
Cosa distingue questa proposta artistica da ogni altra? Gli ingredienti sono molti.
In generale una regia impeccabile, l’utilizzo ottimale delle luci e della musica dal vivo, perfettamente cucite su ogni numero; la quasi totale assenza di tempi morti tra le esibizioni, ma anche l’attenzione alla godibilità dello show nel suo insieme, che esprime massimo rispetto per il pubblico pagante, il cui divertimento è anteposto alla competizione tra gli artisti. Se viene inseguito un primato, è quello della fantasia.
Così possiamo vedere roteare le impressionanti spade di Titos Tsai, artista di Taiwan, o fluttuare in aria, come fuori dal tempo, dei fantasmi del cubo di Rubik, che l’italiano Carlo Cerato lancia in aria in una giocoleria dell’immaginazione o del sogno; oppure vedere contemporaneamente i giochi icariani e la bascula: la troupe Kolfe, etiope, fa anche questo, incredibilmente; o ancora ammirare un mano a mano indecifrabile come quello dei brasiliani Ma-Mão: a tratti violento, ma anche giocoso, comico, assolutamente imprevedibile. Non è mancato nemmeno uno straordinario trapezio volante come quello de La Tangente du Bras Tendu, mirabilmente coreografato, narrativo, improntato al divertimento, liberatorio soprattutto.
Il ricordo che lascia nella memoria uno spettacolo simile è come una striscia dei colori dell’arcobaleno: ogni numero ha avuto un suo colore, un’anima precisa, e ha contribuito con gli altri allo spettacolo nel suo insieme, come se tra gli artisti in competizione esistesse un’unità d’intenti. Ognuno di noi può avere il suo colore preferito, le sue preferenze estetiche, ma si tratta sempre di luce, di una luce speciale che ha trovato la sua giusta collocazione. Auguro a questi giovani artisti proiettati nel domani di brillare sempre di più, mantenendo il proprio speciale colore, che indipendentemente dal successo vuol dire avere la possibilità d’esprimere sé stessi.