Le oche, i conigli e le colombe che alla fine invadono il palcoscenico sono veri e fanno venire voglia di campagna, come se si fosse all’improvviso caduti in un momento di Alice nel Paese delle Meraviglie o fra le pagine di una favola di Beatrix Potter. Tra suoni di carillon e gocce d’acqua tintinnanti, si conclude così uno spettacolo impalpabile, fatto di niente che non sia la capacità poetica (e artistica) di una delle coppie più solide del mondo dello spettacolo. Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierrée hanno distillato l’essenza del circo e ne hanno fatto il loro “Cirque imaginaire”: in scena sono gli interpreti di un susseguirsi di travestimenti, esercizi di funambolismo, creature oniriche e illusionismi, realizzati tra giocattoli d’altri tempi e abiti fantastici, dentro una miriade di invenzioni piccole e perfette.
All’Auditorium Parco della Musica, da martedì 11 e fino al 23 dicembre (sala Petrassi), portano uno spettacolo che è il risultato di quarant’anni di vita d’artisti vissuta sotto la magia dello chapiteau circense, cominciato con il celebre “Cirque bonjour” negli anni Settanta, seguito dal “Cirque imaginaire”, interpretato con i figli Aurélia e James, diventato dopo l’ultima metamorfosi creativa lo spettacolo che i due interpretano nelle piazze e nei teatri del mondo.
Tra le rare parole in scena Thierrée parla pochissimo in una specie di buffo grammelot; la Chaplin, mai pronunciate intorno al suo lavoro, Thierrée ha chiarito che avrebbe voluto “realizzare un solo spettacolo e limarlo all’infinito”. Racconta anche: “Ho sognato un circo diverso, innovatore da tutti i punti di vista, fantasmagorico, rinnovato nella musica, nei costumi, nello spirito…”. È l’occasione per vederlo: nel “Cirque Invisible”, Victoria si fa piccola come una bambola e sparisce dentro una scatoletta a rotelle, si traveste da dama del Settecento e poi diventa destriero dalla criniera argentata, gioca con decine di bicchieri e volteggia come Loie Füller con i teli di seta, costruisce paesaggi girando fra le mani con gli ombrellini cinesi rossi, cammina sul filo vestita di bianco come fosse Ofelia nell’acqua oppure nuota con una coda argentea di sirena…
A vederla, è inevitabile cercare traccia, anche soltanto per il suo viso, delle creazioni di papà Charlot che la fece partecipare, quando era ancora una bambina, al film “La contessa di Hong Kong” (1967), seguito guarda caso dai Pagliacci di Fellini nel 1971 e poi dalla serie tv sul “Cirque imaginaire” degli anni Ottanta. Thierrée è l’altra parte dello spettacolo, quella più “maschile” e dunque clownesca, istrionica, complementare a quella di Victoria: lo vediamo travestirsi cento volte, come un quadro di van Gogh o come un tramonto d’oro, con le righe di una zebra o un pagliaccio, sempre in viaggio con la faccia da Pierrot… Il nouveau cirque, garantisce la critica, è nato da qui: senza effetti speciali, senza tridimensionalità, senza luci, schermi di computer, led o tecnologie. Con il talento e l’amore per i sogni, la vita, il teatro.