“Il domatore”, quando il teatro parla del circo

Avatar Armando Talas

“Il domatore” non è uno spettacolo di circo, ma un interessante ed inconsueto spettacolo teatrale di Vittorio Franceschi, che interpreta anche il ruolo di protagonista, accompagnato in questa produzione dall’attrice Chiara Degani.

Pur essendo puro teatro, con tutti i crismi, merita un articolo sulla nostra testata, perché l’intero spettacolo è immerso nel mondo del circo.

La scena è uno chapiteau vuoto, in dismissione, con ancora appeso il trapezio e in bella mostra gli strumenti del mestiere. La storia, mi piace chiamarla così, come fosse una fiaba, è ambientata in un paese indeterminato e in un tempo futuro, che per molti circensi d’antica schiatta sarebbe apocalittico: subito dopo la promulgazione di una legge che proibisce l’utilizzo di animali in pista.

Il protagonista è appunto il domatore, potremmo dire l’ultimo domatore, ormai anziano, che per soldi rilascia un’intervista a una giovane giornalista. Si tratta di un personaggio a tratti patetico, soprattutto nei suoi irrealistici tentativi di sedurre la giovane donna, a tratti profondamente orgoglioso della sua esistenza, una vita errante e non banale, interamente trascorsa nel mondo del circo.

A parte l’iniziale sconcerto per alcune affermazioni chiaramente bugiarde, che mirano a prendere in giro l’ignara giornalista, si percepisce una certa preparazione dell’autore, che il circo lo conosce bene, e interpreta in modo credibile la sua parte.

Ci sono passaggi comici, che fanno sorridere, ma soprattutto malinconia per una storia finita, per una vita passata, per un amore perduto.

La vita del domatore, in arte Cadabra, è stata sconvolta in giovane età dalla morte del padre, aggredito alle spalle da una tigre del Bengala, durante la prova generale di un numero sensazionale. Nella narrazione, il sangue del padre schizza sul volto del figlio, che non vuole più lavarselo via, e che poco dopo, ancora bambino, inizierà il suo percorso per diventare domatore, sotto la guida dello zio.

L’intervista non è certamente comune, così come non lo è il rapporto del domatore con la giornalista, fatto di patetico corteggiamento, bugie e inaspettate confessioni.

In questo dialogo a tratti serrato, quasi sempre conflittuale – bisogna dirlo – le reazioni della giornalista non sono sempre ortodosse, fino al punto da apparire in certi frangenti poco credibili, ma sono in parte spiegabili dalla storia personale del personaggio, che viene svelata poco alla volta, sull’onda di confidenze che si fanno vere e travolgenti.

Credo che questo spettacolo vada visto dagli appassionati di circo per la profondità delle riflessioni messe in scena; una profondità intima, esistenziale, che va oltre i soliti ragionamenti di natura politica e ideologica sul circo con o senza animali. Questo spettacolo non è né pro né contro, non ha in questo senso una dimensione politica: racconta, come solo l’arte sa fare, una bella storia, una di quelle che fa piacere sentire, con le asperità e le crudeltà delle grandi storie che, pur immaginate, sono intrise di realtà.