Torino è per eccellenza la città italiana della magia. Percorrendo le sue vie simmetriche, delimitate da palazzi magnifici e austeri, questa dimensione arcana emerge a ogni svolta, sorprende lo sguardo, nasconde i suoi trucchi.
Entrando nel teatro Alfieri questa sensazione di mistero si disperde e vengo assorbito dalla folla. Sento parlare molte diverse lingue, alcune delle quali orientali. Il Masters of Magic mi accoglie tra i suoi spettatori, provenienti da ogni parte del mondo per assistere a uno spettacolo di magia di assoluto rilievo internazionale.
Cosa c’entra il circo? Moltissimo. Più di quanto io stesso avrei creduto.
Sappiamo che la più completa classificazione delle arti circensi, il Sistema Gurevich, redatto nel 1970, comprende anche la magia, suddivisa in illusionismo e prestidigitazione. Tuttavia, la magia ha seguito un percorso storico ben distinto, intrecciandosi solo a tratti con il circo.
Queste vie si sono incontrate nuovamente, tra i corsi e i ricorsi della storia, negli ultimi anni. Già nel 2019 fu memorabile il numero proposto dal Royal Circus di Gia Eradze al Festival Internazionale del Circo di Monte-Carlo, dove gli artisti, all’interno di enormi uova Fabergé, eseguirono spettacolari performance di trasformismo. Sempre a Monte-Carlo, nell’ultima edizione 2023, si è esibito Peter Marvey, illusionista di fama mondiale. Quindi non è affatto strano che il circo, a tutti i livelli, saltuariamente ospiti la magia. Non mi sarei però aspettato che la magia ospitasse il circo.
Quando il presentatore Walter Rolfo, eccezionale nel suo ruolo, ha avvertito che alcuni artisti avrebbero usato dei trucchi, il pubblico ha pensato a una semplice battuta e giustamente ha riso di gusto. Tuttavia Walter ha detto il vero, perché non tutti i nove partecipanti li hanno utilizzati.
Va sottolineata l’enorme qualità degli artisti che si sono susseguiti sul palcoscenico, tutti premiati a livello internazionale in contesti prestigiosi, con molti campioni del mondo.
È difficile descrivere a parole un numero di magia davvero ben fatto. Non dovete immaginare macchinari astrusi e il prestigiatore con il cappello a cilindro che taglia in due l’assistente dai capelli fluenti. Pensate piuttosto a singoli individui che hanno passato la loro vita ad allenarsi, fondando i loro effetti magici sull’abilità manuale e la comunicazione corporea, cercando con la fantasia di creare ciò che sembra impossibile alla mente umana, poi tentando con tutte le loro forze di trovare una dimensione estetica e gestuale personale, unica, inimitabile.
In questo tipo di performance, dove la regia, la musica e le luci giocano un ruolo fondamentale, il trucco magico conta pochissimo: lo spettatore deve dimenticarsene, permettere alla mente di accettare l’incredibile e al cuore di gioirne.
Mi ha colpito Florian Sainvet, campione del mondo di manipolazione nel 2018, che ha proposto un numero ispirato al film Tron, pieno di ritmo incessante, movimenti robotici e precisi, atmosfere futuristiche.
Dal punto di vista puramente estetico non ha avuto eguali il numero di trasformismo della campionessa europea Léa Kyle, che sa vestirsi meravigliosamente di magia, ben oltre i confini dell’armocromia.
Eccezionale per abilità Yu Hojin, coreano, la cui precisione nella manipolazione delle carte, frutto di anni d’incessante esercizio, rasenta una bellezza ineffabile.
L’esibizione più poetica e fortemente emotiva è stata a mio avviso quella del coreano Young-Min Kim, che ha raccontato con la sua magia la voglia di morte e di dissoluzione, seguita dalla rinascita dello spirito.
L’incredibile ha molte forme. Quando si è esibito Alessandro Mosca Balma al palo cinese, il pubblico attonito ha visto sconfitte le leggi di gravità. Qui anche i rigidi tecnici della magia, venuti solo per tentare di carpire i segreti che portano al successo, hanno dovuto arrendersi, perché in questo caso il trucco era troppo difficile da individuare. Non c’era.
Un effetto analogo ha suscitato l’artista giapponese Tampei, che ha fatto alcuni numeri di giocoleria estremamente spettacolari e ha concluso la sua performance con il diablo. Ogni tanto Tampei sbagliava, come tutti i giocolieri che si esibiscano per molti minuti, e questo creava nel pubblico uno stranissimo sentimento, tanto che ho sentito qualcuno esclamare: “Ma allora è vero!”
Non mi resta che ringraziare il Regista, Alessandro Marrazzo, e tutta la “Magic Gang” che ha reso possibile questo evento straordinario. Pur essendo squisitamente incentrato sulla magia, lo spettacolo ha in qualche modo aperto il passaggio segreto verso il grande Circo, con l’unico obiettivo di divertire il pubblico, di fargli assaporare il gusto inaudito dell’impossibile, che appaga per alcuni istanti sublimi la nostra brama di mistero ed eternità.