Mai sottovalutare qualcosa di così splendido ed effimero come una bolla di sapone.
Sarebbe un errore grave. Le bolle, simbolo di fragile bellezza e caducità umana, hanno affascinato molti grandi artisti a partire dal Cinquecento, tra i quali Jan Bruegel il Giovane, Karel Dujardin, Max Beckmann e Man Ray; inoltre, sono state descritte e studiate da un gigante della scienza come Isaac Newton.
Le bolle di sapone possono essere un gioioso passatempo per bambini, oppure un’attrattiva spettacolare proposta da intrattenitori dilettanti, ma anche una raffinata forma d’arte performativa.
Michele Cafaggi è un esponente di quest’ultima corrente, ma sarebbe riduttivo ridurre a questo la sua arte.
L’Omino della Pioggia, anteprima di Strabilio Festival, rappresenta molto di più.
Le bolle di sapone e la schiuma, fatta da infinite e minuscole bolle, sono solo uno degli ingredienti; troviamo anche il trucco magico, ma soprattutto l’arte del mimo e una forma tacita e brillante di clownerie.
Alla fine dello show, Michele mi ha chiesto se in ultima fila si sentiva. Per tutto lo spettacolo non ha detto una sola parola. La sua arte vive di bolle di sapone, ma anche, soprattutto, di mimica e linguaggio corporeo, e quindi può essere apprezzata in ogni parte del mondo, indipendentemente dalla lingua degli spettatori. Sì, si sentiva benissimo.
Il filo narrativo è sottile e trasparente come una bolla, eppure presente, tangibile. Per questo bisogna ringraziare l’abilità del regista Ted Luminarc, che ha creato un raffinato susseguirsi di quadri narrativi, mirabilmente dipinti dalle luci della nipponica Izumi Fujiwara, e immersi nelle suggestive musiche di Davide Baldi.
L’arte di Michele Cafaggi non è facile da afferrare, perché tende a sfuggire alle categorie consuete.
Un fraintendimento va eliminato subito, alla radice: credere che sia solo spettacolo per bambini. Sarebbe un’ingenuità, se non addirittura un riprovevole tentativo di svilimento. Certamente è un’arte che ai bambini piace moltissimo, eppure piace anche a me, fin troppo adulto, abituato ai più grandi circhi del mondo. Esiste poi un problema d’etichetta. Non è facile catalogare e mettere al suo posto un artista che propone, tra una bolla di sapone gigante e una nevicata di schiuma, elementi di teatro fisico, mimica e clownerie. Quando un’amica mi ha chiesto che tipo di spettacolo fosse, ho risposto: il tipo bello. Come etichetta basta.