Dal 20 al 23 novembre «Acrobates» di Stéphane Ricordel e Olivier Meyrou dedicato al trapezista Fabrice Champion per il Romaeuropa Festival
ROMA – Uno spettacolo sul circo che ne racconta non la magia ma l’umanità, e la tragedia. Uno spettacolo sull’assenza, il dolore, che allo stesso tempo celebra il coraggio, la vita: «Acrobates» di Stéphane Ricordel e Olivier Meyrou arriverà dal 20 al 23 novembre al teatro Vascello per il Romaeuropa Festival. All’incrocio fra circo, teatro e cinema, due giovani «circassiens», Alexandre Fournier e Matias Pilet, raccontano di un amico perduto, il temerario trapezista Fabrice Champion, che fu uno degli angeli volanti della compagnia francese Les Arts Sauts, fondata da Ricordel nel 1993, celebrazione dello «spirito dell’aria», l’arte del trapezio trasformata in un vertiginoso balletto aereo. Nel maggio 2004, durante una prova, Champion si scontrò con un compagno in volo, dopo la caduta perse l’uso delle gambe e delle braccia, costretto su una sedia a rotelle. Aveva però un’energia incredibile, dopo una lunga riabilitazione a Mosca recuperò un po’ di mobilità nella parte superiore del corpo e decise di tornare in pista.
Il dramma del trapezista Fabrice Champion
«Ha inventato un movimento del corpo tetraplegico – spiega Stéphane Ricordel – chiamato tétra-danse o tétra-acrobatie». Champion crea «Totem de cirque» (2010) – sottotitolo, «Mourrez-vous d’être vivant?» – per gli studenti dell’Ecole nationale de cirque di Rosny-sous-Bois (Seine-Saint-Denis), dove incontra Fournier e Pilet e con loro lavora a un altro spettacolo, «Nos Limites». Alla vigilia del debutto parte per un viaggio in Perù, vuole ritrovare il coraggio attraverso un rito sciamanico a base di ayahuasca (una droga allucinogena ottenuta da liane dell’Amazzonia, si crede serva a «purificare l’anima e lo spirito»). Il suo corpo inerte viene ritrovato in una capanna di indios, aveva 39 anni. Gli amici hanno deciso di realizzare quel suo sogno generoso e disperato. Alexandre e Mathias hanno portato in scena «Nos Limites» con il coreografo Radhouane El Meddeb. Ricordel ha realizzato «Acrobates» (a Parigi e poi al festival Montréal complètement cirque) con Olivier Meyrou, autore del documentario «Celebration» (2008) che, molto prima dei due film su Yves Saint Laurent, mostra il celebre stilista alle prese con i suoi demoni (Pierre Bergé, compagno e alter ego di Saint Laurent, si è opposto alla sua uscita nelle sale). Meyrou per dieci anni aveva filmato la lotta di Fabrice per la riconquista delle gambe e poi del palcoscenico, e ne ha tratto il film «Parade», presentato al Festival di Berlino. «Acrobates» inizia proprio con quelle immagini, proiettate sul fondo della scena: Champion spinto sulla sedia a rotelle in un bosco, appeso a una corda per reggersi, le cadute, gli sforzi a fianco di Alexandre e Matias per trovare un nuovo equilibrio, reinventare un altro corpo – disposto anche «a morire per essere vivo». «Dopo la partenza di Fabrice, abbiamo voluto fare questo spettacolo per perpetuare il suo lavoro. C’era amicizia, l’amicizia c’è», dice Ricordel, cinquantenne che non da molto ha smesso di volteggiare dal trapezio, «è il corpo che parla, un giorno ha detto stop»; rifiuta però la mitizzazione del rischio, osserva che ogni giorno si può morire prendendo l’auto o attraversando la strada. «Dopo il suo incidente, Fabrice si definiva semplicemente un guerriero caduto sul campo di battaglia, ma che “s’est bien battu”. Il trapezio volante è un’arte appassionante, se non ci si guarda negli occhi, se non ci si rispetta, nulla è possibile».
Elegia in memoria di un amico
Alexandre Fournier e Matias Pilet in scena eseguono numeri di «mano a mano», una tecnica che richiede l’accettazione totale dell’altro, la sicurezza di uno è nelle mani dell’altro. «Acrobates» non vuole essere un omaggio, è un’elegia funebre in memoria di un amico che si trasforma in un inno alla vita. Questo spettacolo – è stato osservato – racconta un tumultuoso viaggio verso l’età adulta, le acrobazie sono il loro il modo di essere nel mondo. I due giovani acrobati lentamente, attraverso il dolore del lutto, il ricordo dell’amico che ha insegnato loro il valore della vita, trovano l’energia per gettare i corpi nella battaglia, affrontare l’incertezza dell’esistenza e dei sogni. Un rapporto a due molto forte, perché si ha bisogno l’uno dell’altro per tutto il tempo – come sottolinea Ricordel: «Attraverso il corpo, s’instaura una complicità, una condivisione di cose molto intime, un’amicizia, un’umanità». È la «poésie des corps».
di Paolo Cervone