Mentre l’aereo si avvicina all’aeroporto di Paris Orly osservo il cielo scuro, blu oltremare, dove spicca all’orizzonte una sottile striscia infuocata di tramonto; poi la lama rovente, lentamente, da fulgida diventa rosso cupo, fino a spegnersi nel nero.
Parigi è sempre una buona idea. Andare a vedere “Le festival du cirque de demain”, che dal lontano 1977 si tiene a Parigi, lo è particolarmente. Si tratta infatti di una formidabile declinazione del circo d’arte, di acclarata fama e storica importanza, dove si possono ammirare le prodezze di artisti provenienti da ogni parte del mondo.
A differenza di altri festival internazionali, non ci sono numeri con animali, invisi ad una parte considerevole della pubblica opinione, tanto in Francia quanto nel resto d’Europa, e lo spettacolo risulta pensato per stregare il pubblico presente: non è improntato a logiche televisive, né autoreferenziale o dedicato prevalentemente agli addetti ai lavori. Se c’è competizione tra gli artisti, non si percepisce, come fosse stemperata dalla possibilità di dare il proprio contributo alla bellezza dell’insieme: tante diverse pennellate di colore emotivo per un unico dipinto collettivo, dove ognuno ha il proprio spazio d’espressione. La tecnica di questa grande opera d’arte circense è chiaramente mista, sfrenata, sorprendente.
Si tratta più precisamente di un dittico, di due tavole colorate unite dalla cerniera del tempo: lo show A e lo show B.
Ho visto prima la parte B, venerdì sera, nell’immenso spazio scenico dello chapiteau del Cirque Phénix.
Mi sono rimasti impressi i colori espressionisti di Anton Manaharov, verticalista e contorsionista, che è entrato in scena con delle calzature di vernice rossa scarlatta, con le mani e gli avambracci dipinti rosso sangue. Le sue movenze e forme mi hanno trascinato in un sinuoso dipinto di Munch. Anton pare a tratti ritagliato nel legno, come un burattino animato, a tratti una mobile statua di cera. Davvero un bellissimo numero, emotivamente trascinante.
Ho ritrovato anche molta arte italiana. Il duo “Ricce Meticce” ha eseguito una particolare sospensione capillare doppia: le due artiste hanno legato la loro chioma ai due estremi di una trave sospesa. All’inizio l’estetica roteante era quella voluttuosa di un quadro di Boldini, ma il numero si è fatto progressivamente più giocoso e tenebroso, fino a diventare un’altalena dove si è appesi per i capelli; la trave si è alzata, portando le artiste a volare, come le magnifiche streghe di un quadro di Goya.
Sarei già stato soddisfatto così dell’Italia, ma poi ho visto la rue cyr di Marica Marinoni. Non nascondo che sentire le parole di una canzone dei C.S.I. su quel palco mi ha fatto un effetto contemporaneamente emozionante e straniante, anche perché mentre i miei occhi erano calamitati dal cerchio rotante nello spazio di Marica, solo nella mia mente il testo proseguiva: “Se tu pensi di fare di me un idolo lo brucerò, trasformami in megafono m’incepperò”. No, non lo farò, ma è davvero una tentazione. Serata memorabile.
La cerniera di tempo, la giornata di sabato, l’ho trascorsa tra le bellezze eterne e immobili del Petit Palais, tra Les Saltimbanques di Fernando Perez, stanchi del duro lavoro, e lo slancio immortale de La danseuse Sacha Lyo di Serge Yourievitch.
Poi di nuovo i colori del circo, vivi e cangianti.
Una prima menzione va al numero scultoreo di Mukhamadi Sharifzoda, proveniente dal Tagikistan, un verticalismo in equilibrio su un precario e mobile cumulo di mattoncini, quasi fosse eseguito sopra le rovine di un edificio tra le sabbie del deserto.
Assolutamente entusiasmante la troupe acrobatica nazionale cinese, che ha presentato una giocoleria di nuova concezione, con rimbalzi multipli su più piani inclinati, a disegnare con i rimbalzi delle palline astratte forme geometriche, come in un dipinto di Kandinsky. Esecuzione ardita, ai limiti dell’impossibile, che lascia il senso dell’assoluto.
Ha chiuso la serata il circo The Revel Pucks, proveniente dal Regno Unito, con un divertentissimo numero collettivo su rola bola gigante, ovvero una larga asse in equilibrio su uno pneumatico smisurato. La sensazione è stata quella di vedere dei ragazzini divertirsi in una periferia urbana, circondati da street art. Idea estremamente creativa, risultato magnifico. Davvero un gran finale.
Per concludere, Le Festival du Cirque de Demain ha delineato il circo di oggi e, come sempre, ha fatto intravedere, sfumato nelle linee acquarellate dell’immaginazione, il circo di domani.