Un recente articolo della nostra nuova redattrice Martina Carmignani si apre con una domanda: “Ma che cos’è realmente il circo?”.
A parte i tentativi di dare una definizione sintetica onnicomprensiva, resta un problema di fondo: il circo è un’arte sfuggente, tremendamente difficile da conoscere.


Ho incrociato parecchie persone che sotto sotto, modestia a parte, credono di conoscere il circo meglio delle proprie tasche, mentre personalmente ho sempre la sensazione di avere visto solo pochi frammenti di un immenso mosaico. Ho viaggiato spesso all’estero per vedere alcuni degli spettacoli più importanti del panorama europeo, ma solo con l’immaginazione riesco a farmi un’idea del disegno d’insieme, che necessariamente resta vago e impreciso, una mappa che ha le dimensioni del sogno. In parte questa mia ignoranza è dovuta al fatto che non guardo mai registrazioni: il circo per me è solo dal vivo, altrimenti diventa un pallido riflesso sullo schermo, un’ombra spenta, utile solo agli archivisti.


Di una cosa però sono certo: la conoscenza del circo ha molte dimensioni. Per prima cosa esiste una larghezza del sapere, un’estensione. Questa dimensione della conoscenza è vastissima, perché estrema è la varietà delle forme di circo nella nostra epoca, così come le sotterranee e cangianti correnti artistiche dell’arte circense. In generale noto sempre una divisione netta in tre tronconi: il circo classico, le nouveau cirque, anch’esso ormai storicizzato, e il circo d’avanguardia.
Salvo poche eccezioni che confermano la regola, chi segue il circo classico ha solo qualche elemento superficiale di nouveau cirque, spesso nelle accezioni più popolari, e non sa bene cosa si intenda per circo d’avanguardia. Per quanto possa sembrare incredibile, un ipotetico spettatore che avesse visto tutte le edizioni del Festival del circo di Monte-Carlo o la programmazione del circo nazionale svizzero Knie dalla sua fondazione a oggi (oltre un secolo), avrebbe comunque solo una visione parziale del mondo del circo. Lo stesso potrebbe dirsi per chi avesse visto esclusivamente circo contemporaneo, e non avesse alcuna cognizione del grande circo classico. Per la verità, ho conosciuto entrambe queste tipologie di spettatori, alcuni dei quali sono anche professionisti o organizzatori di festival. Avere un
sapere davvero largo è difficile. Non che io lo possegga: personalmente ho solo i miei pochi tasselli sparsi ai quattro venti e la mia immaginazione. Cogliere cosa oggi sia l’avanguardia del circo è ancora più difficile, perché oltre che conoscenza richiede istinto, quasi preveggenza. Questa difficoltà risiede anche nel fatto che il circo d’avanguardia ha forme inedite o comunque poco consuete, estetiche innovative e stranianti, punti di rottura con il passato e svolte verso dimensioni artistiche inesplorate. Si rischia sempre di confondere l’innovazione con l’astrusità. È la magnitudo artistica che fa la differenza, la capacità di scuotere il mondo. Esiste poi un’altra dimensione fondamentale della conoscenza del circo,
completamente diversa dalla larghezza del sapere: la profondità.
Questo è un concetto tagliente, perché esiste il caso che si possa avere una conoscenza larga del circo, ma superficiale.

Esistono forme variabili, più o meno gravi, di agnosia del circo in quanto arte. Chi è affetto da questi limiti, che riguardano l’intelligenza emotiva e la cultura personale, può godersi grandemente il circo, divertirsi un mondo, ma non cogliere alcuni aspetti salienti di ciò che sta vedendo. Una precisazione va fatta. Questa capacità di cogliere l’arte, che ovviamente può essere educata e affinata nel tempo, trascende la conoscenza degli aspetti squisitamente tecnici. Esiste anzi un certo rischio per gli addetti ai lavori che hanno una grande capacità di valutare la perfezione o il difetto del gesto tecnico: concentrarsi sul dettaglio e perdersi la poesia dell’insieme. Una visione davvero profonda deve considerare la capacità tecnica degli artisti nell’insieme dell’opera d’arte che propongono.

Ho sentito cultori del circo classico stupirsi, quasi trasecolare, perché in uno spettacolo di circo contemporaneo dei gesti tecnici relativamente semplici ingenerano meraviglia e applausi, mentre risulterebbero inadeguati sotto allo chapiteau di un grande circo tradizionale. Questo tipo di indignazione mi rende curiosamente biblico: “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?”. Senza arrivare ai testi sacri, possiamo spiegare questo fenomeno con semplicità: un gesto tecnicamente semplice, se eseguito in un contesto artistico idoneo, può garantire un potente impatto emotivo sul pubblico; questa forza si dissiperebbe completamente in assenza d’arte.


Conoscere il circo in quanto arte vuol dire intraprendere un viaggio simile a quello di Ulisse, vagare per il mondo con mente aperta (davvero, non attraverso lo schermo di uno smartphone o di un PC), oltre le Colonne d’Ercole del già visto, senza sapere bene cosa aspettarsi al prossimo approdo; vuol dire, in ultima analisi, tentare di costruirsi una conoscenza sia larga che profonda.