SE PIANGE PURE IL SOLEIL…

Avatar Marco Mannino

Rivedere la strategia, diversificare gli investimenti, aggredire nuovi mercati, entrare in borsa. Cosa c’entra con il circo? 

Correva l‘anno…Era il 1984, nel pieno decennio di sogni, eccessi e stravaganza. Guy Lalibertè fondò una compagnia nuova, diversa, dal sapore antico e dalle idee futuriste. Negli anni ’90 il cirque du Soleil era già affermato. Ma fu il Terzo Millennio a consacrarlo come fenomeno culturale, di tendenza e infine di massa.
Da idea di un manipolo di giovani è diventato riferimento per gli artisti, modello per gli operatori dello spettacolo, frustrante paragone per le compagnie tradizionali.

Da compagnia artistica alternativa a griffe dell’intrattenimento, brand di gadgets a tema. Insomma una multinazionale, che come tale non si trova più a fare i conti semplicemente con programmi e scelte artistiche, ma innanzitutto con mercati, bilanci e investimenti.  E, quando serve, con licenziamenti. Il Wall Street Journal sotto le feste, quando i circhi tradizionali provano a rimpinguare le magre finanze, ha annunciato il trend negativo degli ultimi anni per il carrozzone canadese. E la soluzione sta nel puntare su musical e parchi tematici. Tutto naturale, logico e, in fondo, prevedibile. La piega affarista non sminuisce la portata del fenomeno né la validità del progetto. Da show must go on a business is business. Cambiano i termini, ma la logica di fondo è la stessa. 
Solo, bisogna riconsiderare il Soleil, valutandolo per ciò che, adesso, è. 
Sbagliato compararlo a minuscoli complessi familiari, fuorviante idealizzarlo come portabandiera del vero circo, ingenuo non accettarne la dimensione ‘industriale’. Perché sia chiaro, il problema non è che non staccano abbastanza biglietti per pagare giocolieri e costumisti.  La compagnia è a un altro livello. Quello in cui i circo non c’entra più nulla.