L’ultimo ruggito di Orlando Orfei. Dai leoni alla morte nella miseria

Avatar Simone Cimino

«Orlando Orfei stava al circo come Pelé sta al calcio».

Ricordano così i suoi amici uno dei principali artisti circensi di tutti i tempi, morto di polmonite nella notte tra sabato e domenica scorsa a 95 anni, in un anonimo ospedale dello stato di Rio, in Brasile.

Orlando era un «leone» e a chi gli chiedeva – se fosse rinato – cosa avrebbe voluto fare rispondeva senza esitazione: «il circo, la cosa più bella al mondo, anche se oggi a nessuno interessa difendere questa arte che è gioia, creatività e coraggio».

Lui che di coraggio ne aveva sempre avuto da vendere. Come quando nel 1968 in Italia aveva accettato l'invito di un imprenditore di portare il suo spettacolo nel paese del samba. Da allora aveva percorso per sette volte il Brasile con il suo carrozzone di artisti, funamboli e circensi per poi restarvici definitivamente.

«Conosco praticamente tutto di questo paese, più grande dell'Italia trenta volte – ripeteva Orfei agli amici – il brasiliano è un popolo buono, amico, e gli piace molto il circo. Per me il Brasile è una seconda Italia».

Un viaggio il suo che è una metafora dei cammini a volte imprevedibili che la vita di ciascuno può prendere se ci si mette di mezzo lo zampino del destino. Un destino crudele tanto che cinque anni fa questo capostipite della celebre famiglia di Moira si era raccontato con molta dignità al quotidiano brasiliano Folha per far sapere al mondo di esser finito in miseria.

Orlando è stato seppellito nel cimitero Jardim da Saudade de Mesquita, dopo che la sua camera ardente è stata visitata dai tanti amici che in 50 anni di vita in Brasile si era fatto. E dai 6 figli, 13 nipoti e 7 pronipoti che gli allietavano l'esistenza nel quartiere povero di Nuova Iguaçu, una città della periferia di Rio de Janeiro.

Qui viveva insieme alla moglie, l'austriaca Herta oggi 81enne. Ai tempi d'oro anche lei calcava la scena con un numero di colombe addestrate.

È proprio lei oggi rimane la voce della memoria della coppia. «Mamma mia: è stata proprio una grande avventura» commenta in lacrime ricordando gli anni felici in cui quello di Orlando Orfei era il più importante circo del Brasile. Con tutta la ricchezza che portò visto che la coppia riuscì perfino a comprare un meraviglioso attico a Sao Conrado, uno dei quartieri all'epoca più esclusivi di Rio. Erano i lontani anni Settanta.

Da tempo, però, la musica era un'altra. La famiglia Orfei non aveva infatti neppure i soldi per potersi pagare un viaggio di ritorno in Italia. Tutta colpa di un impresario brasiliano fuggito con i loro soldi.

Storie da Sudamerica ma storie, purtroppo, maledettamente reali. Per questo nel 2010 i due coniugi avevano lanciato l'appello-intervista alla Folha , un appello che presto rimbalzò anche in Italia dove gli stessi parenti Orfei diedero loro una mano.

La storia di Orlando si intreccia inevitabilmente non solo con quella degli Orfei ma con quella del circo nel nostro paese. Dal bisnonno che a Ferrara abbandonò agli inizi dell'Ottocento gli studi ecclesiastici per fuggire con la donna che amava, con la quale avrebbe poi fondato il primo circo Orfei, fino agli inizi della sua carriera a 6 anni come clown.

E poi i successi. Orlando che entra nel Colosseo con le sue belve. Il circo che arriva in Brasile, la fama in tutta l'America Latina, le roulotte che si moltiplicano a dismisura, arrivando a superare il centinaio. Perfino l'aereo personale.

Ultimamente c'era tristezza nelle parole di Orlando ma la voce si impennava quando la memoria prendeva il sopravvento, come quando raccontava di essere andato in giro lui stesso per pubblicizzare i suoi spettacoli con una leonessa sul sedile posteriore di una decappottabile.

«Non mi piace restare qui fermo a Nova Iguaçu – ripeteva negli ultimi anni quando un inizio di Alzheimer aveva reso ancora più indispensabile la presenza di Herta -mi piace andare ogni giorno in un luogo diverso: sono nato così. Mi chiedono se non sono stanco di viaggiare. Per niente: quello che mi stanca è questa immobilità a cui sono costretto».

Buon viaggio in paradiso, mitico Orlando Orfei.

di Paolo Manzo