Prolegomeni per una nozione giuridica di circo

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di DOMENICO SICLARI


Sommario: 1. Considerazioni preliminari. – 2. Breve excursus sugli interventi definitori in materia di circo equestre. – 3. Il rischio di un nuovo significante (quello di circo contemporaneo) privo di significato.


1. Considerazioni preliminari

Il presente contributo analizza il ruolo assunto dal fenomeno spettacolare circense nel diritto positivo, operando una ricognizione sui profili contenutistici che connotano siffatto settore.

Esso, infatti, risalta agli onori della cronaca per una pluralità di questioni che spaziano dai sempre più incalzanti interventi da parte dei Comuni e delle associazioni aventi ad oggetti l’uso degli animali [1], sino a giungere al finanziamento pubblico destinato allo spettacolo dal vivo attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo [2]. Un quadro che, con una nota di rammarico, sposta l’attenzione dalla reale dimensione culturale e artistica propria di siffatta tipologia di intrattenimento.

A tal proposito il “circo”, che costituisce il frutto dell’incontro e della commistione delle arti di strada nel novero di uno spazio scenico circolare denominato pista, è stato storicamente relegato in una sorta di limbo in termini di rilevanza giuridica; salvo poi assumere una forma di interesse laddove lo svolgimento delle manifestazioni presentava punti di tangenza con settori riservati all’intervento pubblico.

Melius, è possibile rinvenire un atteggiamento che, a fasi alterne, ha portato all’avvicendarsi di momenti di repressione – in cui la realizzazione è stata vietata e perseguita – ad altri in cui la rilevanza è stata circoscritta ai profili di tangenza con lo ius fisci, ovvero con uno dei variegati ambiti della pubblica sicurezza e dell’ordine pubblico.

Il nostro ordinamento ha ben inteso operare in relazione alla materia in esame, stante l’esigenza di fornire risposte concrete in termini di conservazione della tradizionale dimensione contenutistica dello spettacolo circense. Il momento di svolta si è avuto con l’avvento della legge generale sul circo n. 337/1968, non a caso rubricata “Disposizioni in materia di circhi equestri e spettacolo viaggiante”.

Tuttavia, come si avrà modo di meglio puntualizzare nel prosieguo, a fronte della poliedricità contenutistica propria di siffatto spettacolo, l’assenza di un canone definitorio ha comportato la necessità di introdurre norme suppletive – il cui avvento è riconducibile solo a tempi recenti – volte a tratteggiare con precisione il perimetro contenutistico atto a caratterizzare il referente soggettivo cui far discendere l’applicazione della normativa di settore.

2. Breve excursus sugli interventi definitori in materia di circo equestre

Il fenomeno artistico/culturale e spettacolare che notoriamente viene identificato con il nomen “circo” costituisce non già una pratica unitaria, alla quale il legislatore ha potuto approcciarsi in sede di positivizzazione e di cristallizzazione definitoria. Esso, a contrario, rappresenta un metissage frutto della commistione di numerose arti performative trasmigrate nel novero della tipologia di pubblico trattenimento de qua.

Ciò detto si rammenti come la codificazione in seno alla disciplina di settore non può prescindere da quanto emerso negli studi pionieristici condotti, specie nel corso del XX secolo, dagli storici delle arti circensi [3].

In ragione delle indagini predette, le radici di siffatto spettacolo possono farsi risalire a tempi assai remoti: taluni autori, infatti, sogliono rinvenirne le basi già nello sciamanesimo, altri, invece, fanno riferimento a testimonianze artistiche, pervenuteci a mezzo di affreschi, che definiscono in modo inequivoco lo svolgimento, in seno alle comunità primitive, di pratiche e rituali oggi annessi al settore in commento [4].

Tuttavia, appare possibile asserire come “il circo alle sue origini individua lo spettacolo che la comunità dei vincitori dà a se stessa; un’esibizione eccessiva e gratuita di vitalità, destrezza, lustro e potenza; un concentrare in un corteo o in un’arena quanto di (…) meglio è disperso per il mondo per celebrare quel ordine sociale, quei valori ideali, quelle pratiche materiali grazie ai quali è stato possibile conquistare la fama” [5].

Sicché, a prescindere dagli sviluppi che hanno caratterizzato siffatta forma spettacolare sinanco in tutto il medioevo, è dato rilevare come il circo, nella sua veste attuale, si sviluppi in Europa a partire dal 1768, grazie all’intuizione dell’ex sergente maggiore dei cavalleggeri britannici Philip Astley.

A seguito dell’apporto del militare viene partorito il primo circo equestre della storia che, incentrato sull’addestramento dei cavalli, si è progressivamente evoluto giungendo nel corso dei secoli successivi ad annettere nei propri programmi altresì i serragli con animali esotici, attrazioni di destrezza del corpo e ogni altra tipologia di eccentricità diretta ad attirare il pubblico [6].

In ragione di ciò, il circo si configura come un contenitore artistico contrassegnato dalla commistione dei virtuosismi del corpo, delle clownerie e delle esibizioni di belve. L’impianto definitorio al quale si è fatto cenno, che si deve alle elaborazioni dello storico Massimo Alberini, è stato in parte ripreso dal nostro legislatore a partire dal ’68.

In tal senso, la già citata legge n. 337/1968, nel dettare le linee programmatiche in materia, ha riconosciuto a livello statale la funzione sociale dei circhi equestri e di tutto lo spettacolo viaggiante, palesando altresì un impegno dell’ordinamento per il sostegno del consolidamento e dello sviluppo del settore.

Il circo, dunque, viene considerato una sorta di declinazione del genus “spettacoli viaggianti” ed in siffatto alveo vengono ascritte tutte le attività spettacolari, i trattenimenti e le attrazioni predisposti attraverso il ricorso ad attrezzature mobili (all’aperto o al chiuso), nonché i parchi permanenti. Ciononostante, la norma nulla fa trapelare circa la definizione di circo, lasciando aperta la questione definitoria per oltre un trentennio.

Uno spiraglio di riflessione viene aperto dalla pletora di iniziative legislative volte a riorganizzare detta materia, tra le quali spicca in modo inequivocabile il disegno di legge n. 2472 della 13ª legislatura. In esso si riconosce al circo equestre la dignità di mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, parte integrante della caleidoscopica cultura nazionale.

Con maggiore enfasi si sottolinea all’art. 2 che l’attività circense viene a identificarsi con un’impresa, operante sotto un tendone, che presenta al pubblico uno spettacolo caratterizzato per l’esibizione principalmente di clown, ginnasti, acrobati, trapezisti, prestidigitatori, animali esotici e domestici ammaestrati.

Al dato spettacolare viene affiancata una descrizione di tipo materiale della struttura che, a detta dei redattori, avrebbe dovuto caratterizzarsi per la presenza di padiglioni, roulottes, automezzi o rimorchi, nei quali vengono custoditi animali. La sommatoria dei predetti elementi darebbe corpo al circo equestre.

Tuttavia, preso atto della natura di disegno di legge e del mancato recepimento ad opera del legislatore, i contenuti predetti sono rimasti lettera morta, lasciando inalterato il vuoto definitorio preesistente.

Solo con l’avvento della circolare Mibac n. 125, del 14 novembre 2002, si giunge ad un risultato che, nonostante talune lacune, costituisce un momento sostanziale di approccio e di riflessione sul tema. La stessa, infatti, così come appare expressis verbis dalle premesse, interviene al fine di realizzare l’applicazione coordinata delle leggi in materia di attività circense [7], disciplinando le modalità ed i criteri per l’assegnazione dei contributi agli operatori.

In particolare, le attività circensi vengono all’uopo identificate sulla scorta di un metodo sussuntivo rispetto ai paradigmi normativi predefiniti (art. 1).

Dunque, l’ascrizione delle singole attività di settore al regime giuridico riconosciuto alle imprese resta vincolato al fatto che le stesse operino sotto un tendone – a titolo di proprietà, ovvero a mezzo di locazione annuale – presentando al pubblico, in uno spazio scenico costituito dalla “pista”, un’esibizione nella quale si esibiscono clown, ginnasti, acrobati, trapezisti, prestidigitatori, animali esotici e/o domestici ammaestrati. A ciò si aggiunge, oltremodo, che la struttura debba essere costituita da padiglioni, roulotte, automezzi o rimorchi (ivi compresi quelli adibiti alla custodia degli animali).

In un’ottica di maggiore considerazione della realtà fattuale, la norma amplia l’applicazione alle attività che, seppur svolte in arene prive di tendone ovvero in strutture stabili, aventi in via esclusiva siffatta vocazione funzionale, vengono tuttavia presentate con modalità analoghe a quelle operanti sotto lo chapiteau.

Pertanto, si palesa una scelta di sostanziale omologazione normativa basata sui contenuti dell’attività e non anche su un dato squisitamente materiale, riconducibile cioè al mero ricorso del tendone quale unico strumento di discrimen per l’assoggettamento alla pertinente disciplina.

Una scelta di tal fatta, prendendo quale criterio di riferimento il dato testuale scaturente dalla littera legis, palesa una ratio volta a qualificare il circo come equestre, cioè quale tipologia di spettacolo che rinviene nel dressage il proprio dato fondativo: quasi a voler palesare nella norma una presa d’atto delle radici storiche dello spettacolo in esame.

Il profilo connesso all’utilizzo degli animali nel corso delle esibizioni, tenuto conto delle risultanze scaturenti dagli orientamenti delle supreme magistrature (sia ordinaria che amministrativa), deve essere ineluttabilmente parametrato ad una chiave “interpretativa adeguata all’evoluzione dei costumi e delle istanze sociali in tema naturalistico – ed in cui l’attenzione anche degli operatori giuridici ruota attorno – (a)gli animali (…) in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore” [8].

A ciò si aggiunga come l’aver consentito l’estensione ad attività che si svolgono al di fuori del tendone, ovvero in strutture stabili all’uopo destinate, rappresenta un ritorno ad un passato non molto remoto in cui la location tipica di siffatta tipologia spettacolare era spesso ascrivibile ai politeama [9].

Le considerazioni esposte devono però essere ulteriormente vagliate alla luce degli apporti scaturenti dal diritto europeo, in cui il tema del circo è stato oggetto di interesse non solo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, ma anche nella casistica del Mediatore europeo e nel diritto derivato.

Sicché, gli interventi passano per un verso dalla Risoluzione del Parlamento europeo sulle nuove sfide per il circo quale parte integrante della cultura europea (2004/2266(INI)), dalla quale emerge l’esigenza di ascrivere il circo tradizionale, ivi compresi gli esercizi con animali, nel novero del bagaglio culturale europeo, con un effetto consequenziale sulle scelte degli Stati membri.

Per altro, il Mediatore Europeo nel caso 3307/2006/JMA ha sottolineato come la proibizione degli animali selvaggi danneggerebbe la libera prestazione di servizi all’interno dell’Unione (allora artt. 49 e 50 TCE [10]), in conseguenza di ciò i singoli Stati non potrebbero autonomamente interferire in via generalizzata sul libero utilizzo degli animali nelle attività spettacolari.

Ma con maggiore enfasi è il Regolamento (CE) N. 1739/2005 della Commissione del 21 ottobre 2005, in tema di norme sanitarie per la circolazione degli animali da circo tra gli Stati membri ad offrire ulteriori elementi di riflessione. In esso, infatti, all’art. 2 (rubricato definizioni) il circo viene qualificato in modo espresso come un’esibizione itinerante ovvero una fiera che include uno o più animali.

3. Il rischio di un nuovo significante (quello di circo contemporaneo) privo di significato

I diversi referenti normativi citati, che pongono l’accento su una nozione di circo contrassegnata per la presenza degli animali, restano sostanzialmente immutati nella trasposizione da parte del diritto interno ed in particolare nei dettami contenuti nel recente Decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali del 1 luglio 2014, recante “Nuovi criteri per l’erogazione e modalità per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”.

Tuttavia, proprio in seno a siffatta disposizione, affiora un nuovo concetto che si pone in stretta correlazione con il tema oggetto della presente trattazione, vale a dire il “circo contemporaneo”.

Un contenitore artistico recepito nella legislazione positiva ma privo di un qualsivoglia canone di determinazione contenutistica e che, tuttavia, ingenera un’attenta riflessione specie nella misura in cui la codificazione di tale species è contrassegnata, sulla scena internazionale, dalla lapalissiana voluntas dei fautori alla progressiva dismissione dell’utilizzo degli animali [11].

In questo scenario, è stato autorevolmente sostenuto come tra “le restanti misure di urgenza adottate dal d.l. n. 91/2013 per il rilancio dello spettacolo, alcune sono di natura essenzialmente finanziaria (…) Di qui, la previsione che a partire dal 1 gennaio 2014 si ridefiniscano, con decreto del Ministro (…) i criteri per l’erogazione e le modalità per la liquidazione e l’anticipazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, in tutte le sue forme, compresi sia pure con provvidenze graduali, le attività circensi e gli spettacolo viaggianti senza animali” [12].

Lo stato dell’arte del diritto interno, contrassegnato dalla tendenza volta ad incentivare la dismissione degli animali dalle attività spettacolari in commento, si pone in una prospettiva che mal si attaglia con le esigenze di conservazione delle specificità storiche e contenutistiche del circo, cui l’ordinamento riconosce per tabulas una specifica funzione sociale e pertanto una propensione alla tutela dello stesso.

Pertanto, è d’uopo affermare come una siffatta impostazione non tenga in debita considerazione le risultanze scaturenti dall’ordinamento europeo che, nel muovere da una concezione del circo contrassegnata per la presenza degli animali, mirano ad apprestare un baluardo di strumenti a salvaguardia del benessere degli stessi.

Il tutto in ottemperanza all’orientamento oramai consolidato della Cassazione, in forza del quale gli animali devono “essere tenuti nel rispetto delle leggi naturali e biologiche, assicurando che intorno ad essi sussistano condizioni che non superino determinati limiti o soglie di dolore” [13].