Riportiamo da ParmaReport un'intervista a Beatrice Mariotti, educatrice e artista, a firma di Francesca Costi.
Cos’è nato prima in te, l’amore per le attività motorie legate all’arte o quello per la scenografia e la costumistica?
«Alle elementari sono stata molto fortunata, per tutto il ciclo scolastico ho beneficiato di un progetto sperimentale, avendo come insegnate Giuseppe Malpeli, uno psicomotricista che è venuto a mancare quest’anno. Quell’esperienza mi ha profondamente segnata in bene. Di base ero una bambina molto creativa, i miei genitori hanno avuto per 40 anni uno studio di grafica e decorazione e i miei giochi erano colori, stoffe, pennelli, giochi non convenzionali ma manuali. Mi sono poi diplomata all’istituto d’arte Toschi e la mia parte creativa lì ha trovato il modo di strutturarsi. In parallelo ho sempre avuto il bisogno di muovermi, durante l’infanzia ho seguito corsi di danza classica e intorno ai 23 anni, quando le competenze artistiche che avevo maturato avevano iniziato a darmi la possibilità di vivere di questo, sono stata assunta al Teatro Regio come scenotecnica ed elaborazione dei costumi. Successivamente ho avuto la possibilità di condurre un laboratorio di costume al Toschi nel corso di discipline dello spettacolo. Tornare nella scuola da cui ero uscita come insegnante è stato il mio primo passaggio importante, una forte emozione, in quel momento ho capito, che il Teatro Regio pur essendo un luogo straordinario non era più la mia casa, ma un posto di transito per me».
Cosa vi ha spinto a creare CircolarMente? E che perché avete scelto questo nome?
«Diciamo che è stato un ampio travaglio. Avevo capito che l’arte per me doveva diventare un tramite per accrescere la relazione con gli altri: adulti, bambini, disabili e anziani, ciascuno con le proprie necessità. Il mio sogno sarebbe creare un luogo d’arte in cui le persone si possano sentire libere di sperimentare la propria creatività. Fare tutto questo è molto difficile. Ho fatto un percorso terapeutico per conoscermi più profondamente e in parallelo tanti corso di formazione per crearmi una professionalità completa. Il frutto di questo percorso si è poi concretizzato nell’apertura di CircolarMente e per il nome rispondo citandola riflessione di Diego, di 7 anni: ‘beh, direi che chi ha inventato questo nome non lo ha fatto a casaccio, perché vuol dire più cose insieme: per prima cosa circo, ma anche mente, quindi è un circo che fa girare la mente’».
Qual è il valore didattico del circo, cosa insegnate ai vostri piccoli allievi?
«I nostri primi tre anni sono stati difficili, avevamo 3-4 bambini a gruppo, abbiamo tenuto duro, la nostra forza è stata il passaparola. Oggi le discipline proposte sono quelle del circo tradizionale: giocoleria, equilibrismo, trampoli, monociclo e acrobatica col tessuto aereo. Il messaggio più importate che abbiamo voluto trasmettere è il fatto che i progetti di circo sono di pedagogia culturale, che il gioco non è libero, si tratta di un’attività creativa con una disciplina molto ferrea. Si parte dal creare un rapporto di fiducia con i bimbi, con la propedeutica si crea il gruppo e l’allenamento alla concentrazione. Il circo può essere anche pericoloso e le attitudini che si sviluppano durante il corso possono essere utili anche a scuola.
L’obiettivo non è formare un artista circense ma il circo comunque è scuola di vita, di comportamento, di relazione. Siamo anche affiancati da una pedagogista clinica, senza questo supporto il lavoro sarebbe meno approfondito, rimarrebbe una valida alternativa al tempo libero ma non avrebbe una funzione educativa e terapeutica. La figura della pedagogista, ad esempio, ci ha permesso di accogliere bambini che hanno dovuto affrontare gravi lutti, offrendo loro un servizio di drenaggio e riconoscimento delle loro emozioni».
Siete spesso presenti anche con spettacoli e animazioni in diverse feste di quartiere ed eventi, a Parma il circo piace, dunque?
«Come fa a non piacere il circo? Quando dobbiamo programmare un’animazione pensiamo al pubblico cui ci rivolgiamo, noi vorremmo che chiunque riuscisse a portarsi a casa qualcosa, anche solo un profumo, un’emozione, vogliamo dare del “buono” a tutti. Questo principio ci accompagna in tutte le nostre animazioni e crediamo che col tempo la città si sia abituata a percepire il nostro lavoro come qualcosa che parte dal circo tradizionalmente inteso, per diventare una forma d’arte civile, capace di creare una rete interculturale e generazionale».
«Oggi siamo in sette: io, Albert Horvath, Alida Rubini, Martina Vissani, Tobia Curto, Arianna Ravanetti, Giancarlo Zurlè. Il sogno è che possa diventare un lavoro a tempo pieno per tutti noi. Oggi ci dividiamo su tre palestre per condurre tutti i corsi ed è notevolmente faticoso perché dobbiamo trasferire continuamente i materiali. Abbiamo il nostro “covo” in via Mantova, è uno spazio pittoresco, che ci rappresenta ma non è grande quanto vorremmo, quindi nel futuro di CircolarMante lavoreremo per avere uno spazio idoneo a contenere tutte le nostre attività. Parallelamente non escludo che negli anni la nostra realtà possa prendere altre forme, altre aperture».
Se non avessi fatto l’artista circense cosa pensi saresti stata oggi?
«La giardiniera. Ho una terrazza che sembra una giungla, mi piace tenere le mani nella terra».