Tutti noi in questi mesi abbiamo sperimentato cosa sia il rischio.
Rischio di ammalarsi, di essere ricoverati, persino di morire. Abbiamo percorso una strada scivolosa, cercando di non cadere. Qualcuno ha camminato tranquillamente, con sprezzo del pericolo, altri hanno brancolato in preda ad un cieco terrore.
Purtroppo abbiamo dovuto affrontare anche una nostra antica conoscenza: la morte.
È il destino comune di ogni essere umano, una parte necessaria della nostra esistenza, ma quanto fa paura la morte! Paura che la nostra vita sia cancellata con un colpo di spugna, paura di perdere i nostri cari, paura dell’ignoto.
E il circo? Il circo conosce molto bene la morte. Da sempre ci gioca.
Questa sfida sovrumana, propria di alcune discipline circensi, regala enormi emozioni al pubblico, che prima si spaventa e poi si sente sollevato. E più grande è lo spavento, più intensi sono il sollievo, il senso di liberazione e la gioia. L’artista sfida la morte e vince, grazie alla sua abilità.
In questi mesi ho spesso riflettuto sui complicati rapporti tra rischio e arte circense.
Tutti sappiamo che il rischio zero non esiste, nella vita reale così come nel circo. Sappiamo anche che alcune discipline, se private del rischio, potrebbero perdere parte della loro attrattiva. Ma quanto si può rischiare per uno spettacolo?
Per prima cosa bisogna eliminare definitivamente un’idea superficiale, ovvero che si tratti di un affare privato tra l’artista e la morte, che sia l’artista l’unico a poter decidere. Se una giovane acrobata precipita dalle cinghie aeree senza alcuna protezione, non cade da sola. Una parte di noi cade con lei. L’artista ha dei famigliari, ha delle persone care, che soffrirebbero terribilmente, e ha il suo pubblico, che resterebbe sconvolto e addolorato. Un bambino abbastanza grande da capire cosa sia successo potrebbe restare profondamente colpito.
Nel mondo non siamo soli, i rischi che corriamo possono avere ricadute sugli altri.
Il rischio fa parte della vita, ma forse gli spettatori dovrebbero essere resi più consapevoli del tipo di spettacolo che vanno a vedere. Se il rischio zero non esiste, allora esistono numeri sicuri, a cui chiunque può assistere, e numeri pericolosi, certo con la loro attrattiva, ma che forse non sono adatti a tutti.
Rispettare l’autonomia e la volontà dell’artista è importante, ma dobbiamo sempre considerare la dimensione pubblica dello spettacolo che offre. Inoltre, la sua percezione del rischio può non essere perfetta. Esistono persino casi limite in cui l’ebrezza del rischio può diventare una specie di droga, una dipendenza, un po’ come capita ai giocatori d’azzardo, o a chi pratica sport estremi.
Sarà che sto diventando vecchio, ma davvero non vorrei più leggere notizie di incidenti gravi.
È una questione culturale, un modo di intendere il circo come uno spettacolo ardito ma fondamentalmente sicuro. Cosa pensereste se un circo proponesse oggi un numero al trapezio senza reti sotto?
In altre discipline, dove la possibilità di farsi male è certamente minore, ma comunque rilevante, le misure di sicurezza non sono ancora del tutto accettate, paradossalmente quando la qualità degli artisti è molto alta. Più l’artista è bravo, più ci si aspetta che rischi.
Al Festival del Circo di Montecarlo ho visto molti vincitori di Clown d’oro, d’argento e di bronzo rischiare tantissimo, troppo.
Aristotele considerava il coraggio una virtù mediana, ovvero il giusto compromesso tra la pavidità e la temerarietà.
Dovremmo fare nostra questa idea: un circense davvero coraggioso non è un fifone ma, per quanto possibile, lavora sempre in sicurezza, per il suo bene e per quello del suo pubblico.
di Armando Talas