Il circo, una festa: nuovo modello drammaturgico

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CLOWN’S CIRCUS

STORIA, RICORDI E ARTE

Vol I “Il circo, una festa: nuovo modello drammaturgico”

di Jamila Yasmin Attou, Edizioni Equilibrando 

Compito primo di chi scrive di circo è conoscere l’arte circense, studiarla, leggerne la storia, carpirne l’essenza immutabile, ma anche le innumerevoli declinazioni nel tempo e nello spazio. “Clown’s Circus”, composto da 3 volumi, oltre che da un piccolo libro di poesie di Antonio Giarola, permette di conoscere un spaccato fondamentale della storia del circo in Italia. In questo breve articolo tratterò brevemente il primo volume, che parla della nascita del Clown’s Circus e del suo spettacolo Il circo, una festa; questa innovativa e straordinaria produzione ebbe purtroppo vita breve, ma rappresentò un esempio di arte circense all’avanguardia che oggi, molti anni dopo, possiamo considerare in tutta la sua portata. 

Tutto cominciò per la creatività ed intrapredenza di un allora giovane regista legnanese, Antonio Giarola, che fondò il Clown’s circus con un veterano del mondo viaggiante, Giancarlo Cavedo. Siamo nei primi anni Ottanta e i due decisero di proporre uno spettacolo del tutto innovativo, senza animali feroci, che ricreasse un’atmosfera di poesia e delicatezza, introducendo un approccio nuovo in ambito registico, musicale e coreografico. Non crediate, lo stile era à l’ancienne, allora in auge nei grandi circhi europei come il Roncalli e il Gruss.

Allo spettacolo prese parte un organico di circa sessanta persone, di diversa estrazione artistica, tutte con le loro peculiarità e i loro talenti, in modo da racchiudere in un’unica esperienza attrazioni circensi, danza, teatro, musica e Commedia dell’Arte. La regia di Giarola permise di unire i più vari ingredienti: un teatro dei burattini, l’audace giocoleria della famiglia Zavatta, la poetica danza sul filo di Evelyn Rosier, i pony di Barbara Cavedo e le bianche colombe di Marika Althoff, i piatti dell’olandese Christina Lijfering, i temibili serpenti del fachiro Emilio Pujia, il contorsionismo sinuoso di Fatima Zohra, il classico numero equestre di Liliana Jancova, ballerina a cavallo, il “mano a mano” dei fratelli Marzari e, infine, la clownerie. Il clown aveva un’importanza speciale e Arno Huibers, mimo olandese scoperto da Giarola e Cavedo durante il tour attraverso l’Europa intrapreso alla ricerca di artisti, rappresentava il fil rouge dell’intero spettacolo, con ben 10 entrée comico-poetiche. A far da spalla ad Arno, Milko Steyvers, il “Bagonghi”, ovvero il clown nano. L’altra faccia clownesca era la coppia comica dei fratelli Giancarlo e Walter Cavedo, rispettivamente “augusto di serata” e clown bianco autoritario.

Mi rendo conto di non poter recensire uno show che non esiste più, ma nel libro lo spettacolo è narrato in modo tanto vivido da poterlo immaginare in tutte le sue componenti. L’Italia di allora non era pronta a quel tipo di grande circo, e probabilmente non lo è ancora, ma credo sia importante tornare con la mente a quegli esperimenti innovativi per chi si occupa di circo oggi, a tutti i livelli, perché possono indicare le vie del circo di domani.

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Armando Talas