La maggior parte delle persone sul pianeta terra abita un determinato luogo e risiede stabilmente in un’abitazione, immobile e ben ancorata alla terra; modifica nel limite del possibile questo suo spazio in base alle necessità e, per il resto, si adatta all’ambiente che lo circonda.
Il nomadismo invece prevede un continuo spostamento. Oggi questo termine è riferibile agli ultimi cacciatori e raccoglitori delle foreste pluviali e delle aree semidesertiche del pianeta, alle poche comunità di pastori nomadi africani e asiatici, ma anche a chiunque, per le ragioni più varie, continui a girovagare per il mondo.
Il nomadismo delle origini, storicamente, coinvolse la totalità delle comunità umane: era uno stile di vita necessario per procurarsi il cibo, tramite la caccia o la raccolta. Successivamente, quando l’agricoltura e l’allevamento divennero le principali fonti di sussistenza, le comunità umane diventarono sempre più stanziali.
Ai giorni nostri i gruppi nomadi sono quasi tutti scomparsi. I pastori delle steppe asiatiche, così come i beduini della penisola arabica, sono stati travolti dalla storia, trovandosi a vivere in un mondo dominato della tecnica, dove l’allevamento è fatto su base industriale e gli stati sovrani controllano i loro confini. Esistono ancora quelli che gli studiosi chiamano “popoli peripatetici”, sempre in movimento, come gli zingari, generalmente emarginati sul piano sociale ed economico.
Poi ci sono i circensi, che non sono un popolo, ma rappresentano uno degli ultimi esempi di nomadismo.
Le famiglie circensi storiche, così come i gruppi di nuovo circo, si spostano continuamente per cercare sempre nuovo pubblico a cui presentare il proprio spettacolo. Certo esistono i circhi stabili ma, salvo poche eccezioni, gli artisti di circo sono per loro natura nomadi, in un mondo dove il nomadismo è in sparizione.
Essere nomadi non vuol dire vagare a caso, ma seguire precise rotte, secondo le stagioni, così come facevano i gruppi nomadi dell’antichità; vuol dire avere una precisa identità legata al viaggio, differenziarsi da tutti gli altri, che sono “fermi”. Se non si capisce questo punto, questa identità nomade o seminomade, difficilmente si può capire davvero il mondo del circo.
In questa chiave, viene anche più naturale comprendere la simbiosi delle famiglie circensi tradizionali con gli animali del circo, che per decenni hanno rappresentato dei compagni di viaggio imprescindibili, una forte attrazione per il pubblico ma anche un legame affettivo.
Forse il circo è in crisi anche perché il nomadismo è in crisi, ma chi possiede profondamente questa cultura dello spostamento non può rinunciarvi facilmente: sarebbe come perdere una parte della propria identità, una parte di sé. Il circo non è solo un lavoro, è un modo di condurre la propria esistenza, seppur tra mille difficoltà. La sfida del futuro è trovare il modo di andare avanti, tornare a fare grande circo, adattarsi ai nuovi costumi, ma senza perdere sé stessi.
Armando Talas